https://i.postimg.cc/4xwVWRZs/161126145740-fidel-castro-and-mandela.jpg Contrattempo all'Avana: 2020

sabato 21 novembre 2020

LA SANTERIA A CUBA

 “Quando ero ragazzino mio padre voleva che io fossi un bravo cattolico e che mi confessassi tutte le volte che avevo pensieri impuri sulle ragazze. Così ogni sera io diventavo rosso a confessare i miei pensieri. Così successe una sera, e poi un'altra sera, e così via. Dopo una settimana decisi che la religione non era fatta per me.”

Fidel Castro


I riti della Santerìa afrocubana e la sua intera iconografia religiosa sono sopravvissuti all’insana voglia di gran parte della chiesa cattolica di annientare ogni altra confessione religiosa grazie ad un’ingegnosa trovata che ne ha generato la matrice sincretica.

Angariati dagli schiavisti e dalla maggioranza dei preti cattolici, costretti a rinunciare alla celebrazione delle proprie liturgie, i neri, in gran misura provenienti dalla zona centrale dell’ovest africano, trovarono un equivalente nella religione cattolica per ogni loro divinità. 



Eleguà fu così identificato con Sant’Antonio da Padova, Oggùn con San Pietro, Changò, l’incarnazione della giustizia e della forza, con Santa Barbara, etc.                                        

L’espediente consentì ai neri di continuare a rivolgersi ai propri numi senza doversi nascondere per sfuggire al controllo degli aguzzini bianchi. Quest’ultimi avevano sacro terrore dei riti Lucumì che riescono a scuotere chiunque, fino alle viscere più profonde.

Il cubano Alejo Carpentier, morto nei primi anni ’80, per Leonardo Sciascia uno dei più grandi scrittori latinoamericani del ‘900, fu il primo a coniare il termine “realismo magico” (“real maravilloso”) e ad applicarlo alla letteratura latinoamericana e quindi alla vita del continente. 



Si tratta dell’inclusione di elementi mitici e fantastici in racconti d’ogni genere che altrimenti sarebbero perfettamente aderenti alla realtà. I figli di questa letteratura sono Juan Rulfo, García Marquez, Borges, Amado, Cortazar, e altri ancora. Alcuni hanno però considerato il “realismo magico” come proiezione naturale della letteratura post-coloniale in America Latina. 
Si parla della necessità di dare un senso, fondendole tra loro, a due realtà separate: quella del colonizzatore e quella del colonizzato (il romanzo di Carpentier “Los Pasos perdidos” è il migliore esempio di questo tentativo). 

Forse il sincretismo religioso Lucumì, che per ovvie ragioni di sopravvivenza culturale tentava di attribuire un significato all’unione delle due realtà religiose, costituisce il culto precursore del “realismo magico” proprio perché anticipa i tempi tracciando, quasi inconsciamente, un sentiero che ha fatto la fortuna della letteratura latinoamericana.

Carpentier, in una prefazione ad un suo libro di racconti, cita Hegel includendo una correlazione che il filosofo tracciò fra l’America e l’Europa, e che lascia intendere il trasporto e l’interesse per una terra che in quel periodo costituiva una speranza e una frontiera ideale: “L’America è imponente, fisicamente e moralmente, e costituisce anche il futuro, la potenza per definizione. L’Europa è la perfezione dell’assoluto, ma è anche una vecchia armeria, la ‘gabbia’ dove la gente s’annoia e dove nessuno potrà mai far vibrare le trombe dell’Epopea”.

Si potrebbe aggiungere che l’America Latina è il Continente della Immaginazione per eccellenza.


La scrittrice ed antropologa cubana Lydia Cabrera è stata una delle maggiori studiose della Santerìa afrocubana e di tutte le sue derivazioni. E’ morta negli Stati Uniti agli inizi degli anni novanta. Ha pubblicato tantissimi testi, studiando soprattutto la componente animista della religione afrocubana.      
E’ tenerissimo il suo modo di rivolgersi agli umili neri con cui lei, bianca, ricca ed erudita, ha convissuto per anni. Spesso li chiamava “mis negritos”. 



La scrittrice ha sempre detto che se non fossero esistiti i neri a Cuba, non avrebbe mai vissuto lì. 

Se si prova infatti ad immaginare l’isola senza la presenza dei discendenti degli schiavi neri africani, si avverte un tale senso di privazione da lasciar spazio unicamente allo sconforto. 

Cuba si avvicina poi all’Africa e alle sue atmosfere forse più di qualunque altra zona del continente. Grazie alla preminenza dell’anima nera africana, si potrebbe definire l'isola un enclave della grande “Mother Africa” sull’altra sponda dell’Atlantico.    

Il mantenimento delle tradizioni culturali e religiose ha trovato terreno fertile a Cuba perché persino la morfologia del territorio assomiglia vagamente a ciò che i primi schiavi lasciarono alle proprie spalle: l’isola è infatti, per la maggior parte della sua estensione, simile ad una grande savana.


Come nel caso di altre confessioni religiose, è stato grazie all’opera di pochi membri isolati della chiesa cattolica che gli elementi chiave della religione afrocubana sono stati trascritti e sono arrivati ai nostri giorni. La più estesa collezione di proverbi Yoruba fu tradotta e pubblicata, attorno alla fine dell’ottocento, proprio da un prete missionario. 

I proverbi sono la linfa vitale della religione Yoruba. Uno di questi recita: “I proverbi sono l’olio di palma con cui condire e mangiare le parole”. Il culto dei proverbi è oggi parte della vita giornaliera del cubano. Chi più ne conosce e ne fa sfoggio, più cresce nella considerazione di chi lo circonda. 


Le divinità, denominate Orishas, non sono immortali. Sono spiriti che offrono protezione e saggezza ai devoti. Ci si rivolge a loro in situazioni critiche. Santero è l’adepto che ha un rapporto privilegiato con gli Orishas. I santeros, per ottenere tale status, devono seguire un complesso rituale d’iniziazione. 



Gli aspiranti sono sottoposti ad un esame da parte di uno o più babalaos (i vertici officianti). Dopo la nomina di due padrini, il babalao, grazie ad alcune complicatissime tecniche divinatorie che prevedono l’impiego di conchiglie e altri monili, indicherà all’aspirante santero cosa fare della propria esistenza. Vengono dati dei consigli che devono costituirne le direttrici di vita.              

Il babalao, dopo aver consultato i padrini che conoscono bene l’aspirante santero, e averne messo a fuoco la psicologia, impartisce ammaestramenti d’ogni sorta per migliorarne l’esistenza. Si combinano strane ed inverosimili imposizioni come la proibizione di salire le scale a chiocciola o il non potersi alzare da tavola durante i pasti con consigli per mantenere un buon equilibro psicofisico. 

E’ appunto questo lo scopo principale della confessione: migliorare la qualità di vita degli adepti.

I padrini illustrano i punti deboli del soggetto al babalao che tenta di porre rimedio. Si tende a tenere nascosto all’aspirante santero questo canale di comunicazione fra le due parti, forse per accreditare maggiormente agli occhi di quest’ultimo le doti divinatorie del babalao.      

Agli asmatici, per esempio, viene imposto di non bagnarsi mai il capo fuori dalle mura di casa. La ragione di tale limitazione significa evitare ogni complicazione sanitaria. Agli ipertesi viene consigliato di ridurre il consumo di sigarette e caffè, e via di seguito.

Si prova, in breve, a mantenere un buon grado d’igiene fisica e mentale. Forse anche il buddismo segue, in parte, lo stesso percorso?

Nella Santerìa non c’è alcun vincolo assoluto, nessuna costrizione, non si promette e non si pretende niente, e soprattutto non si prevedono né espiazioni di colpe né punizioni. Dalla religione cattolica si sono mutuate solo le immagini sacre dei santi. C’è però un altro punto in comune: l’obbligo per i fedeli di entrambe le religioni di sottoporsi al sacramento del battesimo. 

Non è forse vero che i riti più impressionanti, in modo naturale, abbagliano e conquistano anche le altre religioni?


A questo punto inizia la purificazione e la vera e propria iniziazione del santero.

Per un’intera settimana il candidato dovrà stare rinchiuso in casa, attorniato dai padrini e dagli altri officianti. Il primo giorno si sacrificano una trentina di animali spargendone il sangue sul pavimento.



Il lavacro acquisisce differenti simbolismi a seconda degli animali che vengono uccisi. 

Si dice che nei secoli scorsi, in Africa, la purificazione fosse fatta adoperando anche sangue umano.



L’aspirante santero, durante l’arco dell’intera settimana, non muove un dito. Sta seduto su un trono arredato con i colori dell’Orisha che lo protegge, riceve continue abluzioni, gli viene cucinato il cibo ed ha l’obbligo di dormire su di una stuoia. Può ricevere brevi visite, ma solo ad orari prestabiliti.






Per un anno intero, il santero dovrà vestire di bianco per manifestare l'inizio di una nuova vita e rientrare a casa al calar del sole. In seguito, dovrà periodicamente alimentare il proprio Orisha con riti sacrificali che mantengono saldo il vincolo tra il religioso e la divinità protettrice.



La festa per omaggiare gli Orisha che conclude la settimana d’iniziazione è il “toque de tambor”.



E’ la cerimonia scandita dall’incessante e ossessivo ritmo dei Bata’, i tamburi sacri della Santerìa, in cui si sviluppa un macchinoso rituale che culmina con la “monta”, da parte di un Orisha, di uno dei partecipanti alla cerimonia. L’Orisha s’impossessa del corpo della persona prescelta e attraverso questa fornisce consigli e illumina i presenti.        
Lo stordimento generale provocato dal rullare crescente dei tamburi che riescono a far risuonare anche le corde più intime, una moderata dose di rum e, in alcuni casi, l'impiego di datura o secrezioni di rospo allucinogene, lentamente infiammano gli animi e procurano la trance.





Una volta abbracciata la religione, ogni piccolo problema quotidiano, ogni ostacolo che si frappone fra te ed un obiettivo che devi assolutamente centrare, ogni magagna sentimentale, per essere affrontata e risolta, richiederà l’intervento del culto e del cerimoniale. Grande fiorire di candele, di legature e slegature a seconda dei casi, e di promesse ai vari santi. 


Omaggio a Eleggua - Daymé Arocena

https://www.youtube.com/watch?v=fIqvuKnYWhk




Tutti hanno una storia da raccontare sulla Santerìa.

Anni fa, una delle santeras più in vista di un quartiere popolare di Santiago mi ha ricevuto grazie alle insistenze di un amico comune. La donna, che non avevo mai visto prima, mi ha fatto sedere su una sedia, e dopo aver portato a termine un lungo cerimoniale durante il quale mi ripuliva di tutti gli influssi negativi impiegando erbe d’ogni genere che mi strofinava addosso, ha iniziato a farmi domande personali a cui, per mia reticenza, cercavo di non rispondere. 

Le risposte le dava lei, e il più delle volte collimavano con la realtà. Non so chi le avesse comunicato che stavo a contatto con l’acqua di mare (sono un subacqueo e windsurfista incallito), né la ragione per cui m’interessa tanto conoscere il regime del vento.

La donna è poi entrata in trance e ha cambiato il tono e il suono della voce. Anche le parole che pronunciava non erano più in uno spagnolo intelligibile. I vocaboli, che all'inizio erano certamente di provenienza spagnola, acquisivano prefissi e suffissi d’origine indefinita e si mescolavano a suoni, vocalizzazioni, fonemi, lamenti, gemiti e altre parole d’origine africana che contribuivano a rendere l’atmosfera ancora più elettrica ed agitata. 



Il mutamento della voce mi sembrava coincidesse anche con un’alterazione dei tratti somatici della mia interlocutrice. Ho avuto l’impressione che le si fossero incavati gli occhi e allungato il collo. Sarà stato lo sforzo prodotto per variare il suono della propria voce o la mia autosuggestione. Fatto sta che ho iniziato a provare profonda angoscia.                                                

La mia parte razionale diceva di riderci su, che si trattava dell’euforia del viaggiatore che porta a fantasticare, corrompendo i reali contorni delle cose. Però l’inquietudine era lì presente, e si faceva sempre più palpabile.

La santera, in un’atmosfera ogni istante più pesante, ha poi parlato di mia nonna materna, dicendo che il suo spirito avrebbe continuato a proteggermi. Ha affermato che ero figlio della “Niña del Congo”. 

Mi ha anche detto che sarei ritornato lì a Santiago e molte altre cose, la maggior parte delle quali si sono puntualmente avverate.

Ma ciò che mi ha più impaurito è stata un’interruzione improvvisa della presunta trance. Mi ha guardato fisso negli occhi e mi ha chiesto dove fosse mio padre. Ho risposto che era in viaggio, in quel momento si trovava in Marocco con mia madre. Ha poi abbassato gli occhi arrestando di botto e senza spiegazioni la cerimonia. A quel punto non ho capito bene cosa stesse succedendo. Poi, al ritorno a casa, sono riuscito a mettere a fuoco tutto.

Facendo una ricostruzione cronologica dei fatti, e calcolando la differenza di fuso orario, mi sono accorto che nello stesso momento in cui la santera mi ha chiesto di mio padre, dall’altro lato dell’Atlantico il pover’uomo ebbe un attacco di polmonite che lo portò quasi al creatore. Per fortuna riuscì a rientrare rapidamente in Italia affittando un aereo privato da Marrakesh fino a casa.


I ritmi d’origine africana che hanno fatto la fortuna della musica cubana nel mondo e la voglia di dimenarsi e ballare sono, insieme alla religione sincretica Lucumì  o Regla de Ocha e le sue derivazioni, il cuore della cultura popolare. 

Le religioni sono però sempre state avversate dal governo.

Negli ultimi vent’anni si è deciso di sostenere la Santerìa afrocubana per varie ragioni. La più importante è forse la necessità di controbilanciare la penetrazione della religione cattolica che stava ricevendo troppo impulso, anche a seguito delle visite dei vari papi. 

Tutti sanno cosa possa succedere nel caso in cui i cattolici riescano ad organizzarsi in modo efficiente nel territorio.



L’altra ragione è culturale ed anche economica. La Santerìa afrocubana ha attirato l’interesse di molti studiosi europei e americani. Aumentano gli stranieri che decidono di abbracciare questa forma di culto religioso. E ciò significa più dollari che saranno spesi nell’isola. 

All’inizio della Rivoluzione Castro decise che la Santerìa, come tutte le religioni, dovesse essere bandita da Cuba. Si è mantenuta viva grazie alla capacità dei cubani di rinverdire le proprie radici. Lo stesso Castro ha loro insegnato che la memoria del passato è importantissima per proiettarsi verso il futuro.  

La Santerìa è forse sopravvissuta, colmo dei paradossi, grazie allo stesso insegnamento fornito dalla Rivoluzione. 

Ora c'e’ un museo della Santerìa al centro dell’Avana Vecchia. Le facoltà universitarie che si occupano d’etnologia e branche affini tengono corsi sulle religioni afrocubane, e molti studenti e professori europei e americani vengono ad assistervi, partecipando a programmi di ricerca.

Anche i bianchi cubani credono fermamente nella forza della Santerìa, e spesso sono oltranzisti almeno quanto i neri che, per storia e tradizione, ne sono i principali depositari. Prima del ’59, la Santerìa aveva un’enorme influenza sia sulla cultura popolare che su quella delle elìte. Ma l’auge che sta vivendo in questi ultimi vent’anni non ha precedenti.





A Cuba, da anni, corre voce che Fidel, durante una visita in Guinea, giusto per non lasciare nulla di intentato, sia diventato santero

Si dice anche che il suo Orisha protettore fosse Oddua, re dei re, forse il più forte e potente, tanto da essere sincretizzato con Gesù Cristo...




martedì 25 agosto 2020

LE MERAVIGLIE DEL "PERIODO ESPECIAL" A CUBA



No te tomes en serio nada que no te haga reír.
Eduardo Galeano

Nei primi anni ’90 Cuba è sprofondata in una crisi economica fra le peggiori mai viste al mondo. Dopo il crollo del blocco socialista e l’improvviso ritiro dei sussidi sovietici, la situazione è precipitata. 
Il cosidetto Periodo Especial è stato caratterizzato da frequenti interruzioni della corrente elettrica definite apagones
Si racconta che in quel periodo, in un circo di provincia, durante lo spettacolo dei trapezisti, proprio mentre uno di loro stava per riagganciare le mani del collega dopo un’evoluzione, sia andata via la luce.           
Questo è per molti il vero paradigma della crisi degli anni ‘90, un salto mortale nel buio.



Nel giro di pochi mesi la gran parte della popolazione, soprattutto nelle zone urbane, si è trovata senza nulla da mettere sotto i denti. 
A quel punto l'inventiva del cubano ha preso il sopravvento. 
Circolano storie che hanno dell’inverosimile riguardo mille stratagemmi e piccole o grandi truffe messe in atto per tirare avanti. 
In alcuni casi, aldilà di ogni fantasia, posso dire di essere stato testimone diretto.

La quasi totale scomparsa dei gatti dell’Avana, durata più di dieci anni, è sotto gli occhi di tutti e non richiede evidenze di alcun genere. Adesso godono di pieno rispetto grazie alle mutate condizioni economiche, e sono ormai tornati ad affollare le strade cittadine. 
In quel periodo, l'assenza di proteine animali nella dieta del cubano non ha unicamente prodotto la decimazione dei poveri felini. 
Ci sono anche stati casi di cannibalismo inconsapevole.           

Alcuni ingegni locali hanno infatti pensato di stringere accordi con i becchini del Cementerio Colòn dell’Avana (https://contrattempo.blogspot.com/2015/03/il-cimitero-dellavana.html), prelevando fegati freschi da cadaveri appena tumulati. 
Gli organi, dato l'aspetto e consistenza molto simili a quelle dei suini e dei bovini, venivano poi venduti porta a porta e destinati in gran parte ad integrare l’alimentazione dei più piccini bisognosi di ferro. 
Il commercio è stato subito stroncato dall’autorità preposta, e resta qualche traccia della vicenda nelle cronache locali.


Inoltre, tutti sappiamo che nei periodi di grande crisi materiale si tende ad affidarsi al sovrannaturale, sperando che possa risolvere ogni magagna. 
E la Santerìa afrocubana, per i riti propiziatori più complicati ed esigenti, contempla anche l’uso di ossa umane. 
Per i seppellitori, quell’epoca d’oro, in cui i prezzi delle spoglie aumentavano di giorno in giorno, è ormai solo un ricordo.

Si racconta anche che alcuni ambulanti vendessero panini con carne di maiale che in realtà non era altro che pezzi di comuni stracci fritti, abbrustoliti e poi conditi. Pare che almeno al masticamento fossero simili alla carne. Le abbondanti spezie agivano da copertura. 
La vendita è durata qualche giorno, e gli ambulanti prontamente smascherati.
In questo caso, a onor del vero, non esistono prove dirette di alcun genere.

Ho un amico che gestisce una piccola panetteria statale. Michél non lavora per il salario ma perchè la sua posizione gli consente di rivendere sottobanco, a privati e ristoranti della zona, parte della farina assegnata dallo stato alla panetteria. 
E’ però sempre sotto il tiro degli ispettori che controllano che non ci siano ruberie. 
Spesso fingono di controllare, se qualcuno allunga una mancia.          
                                         
In ogni caso, il problema più grosso è il trasporto del maltolto perché la polizia è sempre all’erta.
Un giorno, girando per strada, incontro il mio amico vestito da spazzino con tanto di divisa d’ordinanza, scatolone di plastica con ruote e tutto l’armamentario di scope e ramazze che si usano per pulire gli angoli delle strade. 
Dato che questo tipo di attività viene spesso riservata ai detenuti assegnati ai servizi sociali mi allarmo, pensando che lo avessero arrestato. Lui mi guarda e sorride divertito. Mi chiede di avvicinarmi, apre il coperchio dello scatolone e dentro c’è farina quasi fino al colmo. 


                               
Michél qualche anno dopo è stato licenziato e arrestato perchè aveva passato il limite, e neanche le mance agli ispettori hanno potuto salvarlo.
L’ho rivisto tempo fa e continua i suoi traffici a gettone come manager relazioni esterne per conto di varie panetterie della zona, grazie alla rete di contatti sviluppata negli anni.

La carne di manzo a Cuba, per distinte ragioni, è così pregiata e costosa che chi abbatte una vacca a volte riceve pene maggiori di quelle riservate ai comuni assassini (https://contrattempo.blogspot.com/2017/09/le-vacche-sacre-cubane-e-indiane.html).
Merce che scotta, quasi più della droga.                          
In quale paese e in che situazione la polizia bloccherebbe mai una ambulanza che corre a sirene spiegate?



Nel giro di poco tempo, le ambulanze dell’Avana, per un buon periodo, hanno trasportato più quarti di bue e altri articoli che umani incidentati, infartuati o morenti.          
                                                             
Quando poi il traffico è aumentato a dismisura, qualcuno avrà compreso che i numeri dei movimenti delle ambulanze non erano più sovrapponibili a quelli dei ricoveri o degli interventi negli ospedali. 
Anche in questo caso, qualche traccia è rimasta nelle cronache, sebbene la tendenza sia stata di non fare troppa pubblicità all’accaduto. In parte per la serietà del caso, ma soprattutto per evitare ridicolizzazioni provenienti dall’esterno.

La sanità pubblica cubana funziona, in molti casi, in maniera impeccabile. Non è tutto rose e fiori perchè anche qui esistono ritardi nelle assegnazioni dei turni per gli esami diagnostici o per altri interventi. In ogni caso, nulla di paragonabile a quelli di alcune regioni italiane. 
C'è anche una cronica assenza di medicine causata dall'embargo, che di recente si è inasprito. Ma tant’è.                     
Lo stato cubano è molto premuroso e sensibile nei confronti delle fasce più deboli della popolazione e dei malati. In casi di malattie che richiedono un regime alimentare rinforzato interviene garantendo l’approvvigionamento a prezzi politici. Basta che si accerti la necessità e si ha diritto a una tessera speciale con cui comprare gli alimenti. Succedeva anche che qualcuno trovasse il modo di rivendere i coupon rinunciando al privilegio, magari per comprare qualcos’altro.

A Cuba i bambini sono sacri. Chi li maltratta rischia grosso. E’ una delle tante sante eredità di Fidel che li ha sempre tutelati e protetti. 
Anche le donne incinte hanno diritto a trattamenti speciali. 
L’attesa è una realtà costante nell’isola. Si aspetta per entrare al supermercato, pagare il telefono, fuori dal teatro, in banca o per prendere l’autobus. Più la situazione economica peggiora, più lunghe sono le code. Chi ha la pancia o un neonato in braccio passa dritto e le scavalca sempre, assieme alla persona che l'accompagna. 



Se hai in famiglia un bimbo in arrivo hai quindi una risorsa. A quei tempi c’era perfino chi vendeva il diritto a superare le code, soprattutto se si trattava di accaparrare alimenti che spesso scarseggiavano.


Rubare allo Stato, a Cuba, a seconda dei punti di vista, può essere sacrosanto o assolutamente deplorevole. 
Ancora oggi esistono due diversi standard di giudizio, e questi dipendono dai soggetti fatti bersaglio delle indebite sottrazioni. 
Nel caso di furti ai danni di privati cittadini vige la regola della riprovazione e condanna. Se invece la vittima del ladrocinio è lo Stato, il giudizio è diverso, anche se adesso le cose stanno cambiando. 

Anche da noi in Italia si ruba il bene pubblico perché molti pensano che non appartenga a nessuno. Chi arriva prima ed è più furbo e lesto se ne appropria, e spesso gli altri restano a guardare ammirati (purtroppo o per fortuna, quando ti trovi immerso in un’altra cultura, sei costretto a giudicare la tua).

L'appartamento nel Vedado dove ho vissuto per tre anni confina con una delle fabbriche di sigari più importanti dell’Avana, "la Partagas"



I balconi dell'edificio distano appena un paio di metri dalle finestre della fabbrica. 
L’inquilino del piano inferiore mi ha raccontato di come gli abitanti dell’intero palazzo, negli anni più bui del Periodo Especial, integrassero i propri redditi con i proventi della vendita clandestina di sigari e sigarette rubati dal deposito della fabbrica grazie alla complicità degli operai e dei magazzinieri. 



Da un tetto all’altro dei due edifici, di notte volavano scatoloni giganti pieni di sigarette e sigari. Il mio inquilino, però, sempre alla ricerca di nuove frontiere, con un originale artificio è riuscito ad aumentare il traffico rendendolo più sicuro e fluido. 
D’accordo con gli operai della fabbrica, con cui divideva gli utili, ha installato un tubo di plastica di 50 cm. di diametro che correva tra il balcone e una delle finestre del magazzino che si trovava appena un metro più in alto. 



Grazie alla leggera inclinazione del tubo collettore di ricchezza trasformato in singolare, simmetrica cornucopia, piovevano quintali di sigari, sigarette e analoghi articoli. 
L’amico aveva destinato un’intera stanza a deposito merce perché, nonostante la vendita fosse rapidissima grazie ad una efficiente rete clandestina di distribuzione, il flusso di tabacco era talmente impetuoso che per arginarlo era necessaria una vasca di decantazione. 



Ancora oggi mi dice con orgoglio che a quei tempi riusciva a mantenere in casa ben tre puttane che risiedevano stabilmente da lui, e non passava settimana che non comprasse almeno una cassa di bottiglie di buon rum. Per quei tempi, era in pratica un piccolo pascià, fino al giorno in cui lo hanno arrestato. 

Chi ha mai detto che le pance vuote suonano sempre come tamburi di guerra? 
Spesso la povertà, soprattutto a queste latitudini, da più leggerezza, coraggio e ingegno.




martedì 19 maggio 2020

IL "RICATTO SOCIALE" A CUBA E LA COERENZA DI CHE GUEVARA


«Nelle vene di mio figlio scorreva il sangue dei ribelli irlandesi»
Ernesto Rafael Guevara Lynch


L’ombra più scura che si allunga sui rapporti umani tra residenti stranieri e cubani è costituita dall’onnipresente figura del “ricatto sociale”.
Il nostro senso di colpa nei confronti dei locali è sempre vivo e presente in ogni scambio, e si acuisce in maniera speciale quando si comprende di godere di eccessivi privilegi in terra straniera.

In ogni altro paese in cui si risiede si è sempre ospiti, e si sta bene attenti a non urtare la suscettibilità degli abitanti del luogo. Nessuno si sognerebbe mai di criticare la qualità delle portate che ci vengono offerte in casa d'altri.                                         
A Cuba, gli stranieri, fino a pochi anni fa potevano fare e dire cose proibite ai cubani: risiedere in un hotel, affittare una macchina o uno yacht, comprare una casa, navigare in rete senza impedimenti, impiantare un’attività imprenditoriale, spostarsi da una città all’altra senza dover spiegare a nessuno la ragione del proprio viaggio, entrare ed uscire dal paese liberamente, vedere la televisione satellitare, perfino criticare il regime e i costumi del luogo. 
Tutti privilegi che venivano negati ai cubani. 

In tale situazione è ovvio che uno straniero minimamente sensibile si senta almeno un po’ scomodo. Solo pochi anni fa il governo ha cambiato le leggi equiparando anche i cittadini cubani.


Vivere in un paese in cui non si possono condividere appieno con la popolazione locale tutti i diritti più scontati rende squilibrato ogni rapporto umano. Si arriva anche a provare un certo imbarazzo, che in alcuni casi si trasforma addirittura in vergogna. 
E’ anche certo che la colpa di una tale anomalia non sia imputabile solo ad una scelta di segregazione operata dai vertici.                                                                                   
In ogni caso, godere di diritti negati a chi dovrebbe esercitarli almeno tanto liberamente quanto te porta a riflettere a fondo, e si arriva a pensare che la vera vittima di questo apartheid caraibico non siano i cubani, ma proprio i residenti.                                                                                                          
Il nostro isolamento in questo strano olimpo delle franchigie ci fa sentire colpevoli e certi che, vivendo in tale situazione, risulta impossibile, anche a causa delle astronomiche distanze create dalla differenza di potere d’acquisto, imbastire relazioni umane e di amicizia spontanee e disinteressate.                                                                     
Eppure, incredibilmente, si riescono a stabilire contatti che sembrano trovare negazione nella logica. Bisogna saper giocare sul filo dell’ironia e far capire al proprio interlocutore, sin dall’inizio del rapporto, che si è ben coscienti del peso di tale condizionamento. 

Se si trova il giusto equilibrio, si possono creare e coltivare amicizie che portano frutti inaspettati e coinvolgenti. Se invece si perde di vista la costante presenza del “ricatto sociale” o se, ancor peggio, come succede a molti, non la si percepisce assolutamente, la prima impressione è che questa terra sia il nuovo paradiso delle relazioni umane. 
I rapporti sembrano più fluidi e “semplici” che mai, e pare scorrano senza ostacoli perché non esiste alcun contraddittorio. 
Il perno di tutto è il potere del denaro e il privilegio dell’occidentale che rende il cubano, pur con l’orgoglio che lo contraddistingue, quasi sottomesso. 

Poi ci sono alcuni stranieri, per fortuna pochi, che addirittura si convincono di essere dei semidei e girano impettiti sfidando ogni ragione, pensando di poter comprare tutto, perfino la considerazione dei locali che sembrano assecondarli in ogni occasione, ma appena lontani ridono di loro.

Un amico cubano e cittadino del mondo una volta mi ha detto in modo molto crudo e senza preamboli che secondo lui i cubani sono un popolo di ipocriti. 
Molti dicono che a Cuba tutti hanno una doppia faccia, una doppia morale: quella ufficiale e quella privata, e che questo vale a tutti i livelli, anche i più alti nella scala del potere.


Eduardo Galeano diceva che in America Latina le parole e i fatti che ne dovrebbero conseguire si incontrano raramente e quando succede, nel migliore dei casi, si stringono la mano e proseguono frettolosamente ognuno per la propria strada. 
Secondo molti, in questa parte di mondo, mentre si afferma una cosa, si pensa l’esatto contrario.                                                                                                                           
Galeano diceva anche che uno dei pochi figli del continente latinoamericano che ha cocciutamente perseguito il primato di consequenzialità tra idee ed azioni è morto proprio perché divenne vittima di questa singolarità. 
Che Guevara stesso ripeteva sempre che la sua caparbietà e coerenza gli derivavano dalla madre che aveva origini irlandesi.


A Cuba, nei rapporti tra locali e residenti stranieri, molto dipende da come ci si propone, da quanto si mettono in chiaro le regole del gioco. 
L’arma del “ricatto sociale”, però, quasi non viene brandita dai cubani. 
Non capita mai di sentirsi dire: “Tu non parlare perché sei straniero”.                 
Sarà una strategia o un netto rifiuto di trattare la questione, forse nel tentativo inconscio di rimuoverla per non sentirsi uomini di seconda serie rispetto a noi. Non so dire. In ogni caso, il peso dei privilegi, se la tua coscienza non è in catalessi, lo avverti da solo senza che nessuno te lo ricordi.



sabato 18 gennaio 2020

LA FLACA, UNA JINETERA EN LA HABANA


L’uomo insultava la prostituta e lei disse: "Senti, se vuoi farmi godere non devi chiamarmi puttana ma dirmi che mi vuoi sposare."
Ennio Flaiano

Una santa può cadere nel fango e una prostituta può salire alla luce.
Leon Bloy





Yaneisy nel 2000 aveva 21 anni. Un pomeriggio di 6 anni prima la madre l’ha lasciata sola in casa con lo zio e due amici che, dopo aver dato fondo ad un paio di bottiglie di rum, l’hanno stuprata a turno per più di sei ore. Usciranno di galera dopo 15 anni.

All’Avana Vecchia dove abitava con la madre, un pachiderma di 100 kg. almeno, in un buco di dieci metri quadrati con un soppalco dove appena entra un letto da una piazza e mezzo, la chiamavano la Flaca.

Sognava da sempre di andare via da Cuba sperando che uno dei mille turisti che aveva conosciuto la portasse via da quel sudicio edificio nel cui sottoscala dormono, cagano e pisciano gli ubriaconi, costringendo gli inquilini a respirare le esalazioni della merda, con il terrore costante che al prossimo acquazzone, dopo i primi raggi di sole, quando il cemento si asciuga, tutto venga giù.

Mi ha parlato di tutti i suoi guai. Forse mi ha voluto bene, per quanto possa voler bene una coscienza così incallita da anni di tormento che si è ormai trasformato in routine e non fa quasi più male - chi dice che noi esseri umani ci abituiamo a tutto?

Sapeva anche di non potermi prendere in giro perché dopo tanti anni di residenza non mi bevevo più le sue storie.
Mi ha raccontato del fidanzato che le piantava grane quando andava in giro a cercare turisti, della madre che l’ha picchiata fino a quando lei le si è rivoltata contro, del padre adottivo che, guarda caso, l’adora, l’ha sempre rispettata e non ha mai cercato di farle del male. Di quanto le facessero schifo certi turisti e che per farli contenti doveva fingere gli orgasmi o pensare ad un altro uomo. Di cosa dovesse fare per tornare rapidamente a circolare quando la portavano alla stazione di polizia.

La sua vita all’Avana aveva un unico obiettivo: il dollaro. La frenesia con cui si muoveva per accumulare più denaro possibile era unica. Ma con lunghe pause di riposo durante le quali pensava alla cura del proprio corpo con modi e comportamenti di una tenerezza immensa. Sempre aggiornata su tutte le tendenze della moda europea e americana, ma attenta a non vestire in modo troppo provocante per non essere pizzicata dalla pattuglia di zona.

Mi ha confessato che spesso, dopo aver racimolato abbastanza soldi per comprarsi le scarpe o il vestitino più alla moda, non riusciva a prendere sonno passando intere notti in bianco in attesa dell’ora di apertura dei negozi per fare acquisti.

Il sogno più grande è sempre stato l’Europa, un uomo che la sposasse per portarla via.

Un giorno in città ha incontrato un ceco che le ha proposto di lavorare in un locale di spogliarelli con annesso bordello. La Flaca è subito partita, ma ha voluto che le lasciassi il mio numero di telefono in Italia perché ero l’unica sponda sicura in Europa.
 
Il postribolo dove è stata alloggiata si trova a pochi km. dal confine con la Germania, e i tedeschi da sempre lo frequentano perché li trovano birra, cibo e puttane a buon mercato. L’accordo con i datori di lavoro prevedeva che il 90% delle tariffe pattuite per le prestazioni sessuali andassero alle lavoratrici e il restante 10%, più i proventi della vendita degli alcolici, ai gestori stessi.

In realtà, dopo poco tempo e a cadenza settimanale, il magnaccia di turno, minacciandole con la pistola, si faceva consegnare i soldi dalle ragazze.
La Flaca, facendo sfoggio del proverbiale coraggio dei cubani, si è rifiutata di cedere dicendo che prima sarebbero dovuti passare sul suo cadavere. L’atteggiamento bellicoso ha sortito effetti, tanto da consentirle di mettere da parte più di 500 € che sarebbero risultati vitali al momento della fuga.

Grazie alla proprie indiscusse arti di persuasione, la Flaca è riuscita allora ad irretire un cliente abituale del bordello, e avendolo convinto del suo sincero amore si è fatta dare una mano per scappare da quell’inferno.
Va aggiunto che tra le tante cubane che sono espatriate al seguito del famigerato ceco nessuna ha mai fatto ritorno. La madre di Yaneisy ed io, a quel punto, saputa la circostanza, abbiamo perso le speranze e ormai lo sconforto era totale.

Ma la buena suerte della Flaca è inesausta.
Il cliente innamorato progetta con lei la fuga, e una volta fuori dal bordello decidono di attraversare il confine separatamente perché i magnaccia, grazie ai propri contatti, l’avrebbero sicuramente bloccata in frontiera. In quella zona esiste un passaggio frontaliero clandestino a pochi km. da quello ufficiale. La zona era frequentatissima da turchi, asiatici, cinesi ed altri immigranti illegali d’ogni dove. Si doveva attraversare una fittissima foresta seguendo un sentiero di 3 kilometri.

Yaneisy lo ha fatto a piedi, correndo come una scalmanata, accucciandosi di tanto in tanto col cuore in gola perché se l’avessero scoperta sarebbero stati guai certi.
Quando le ho chiesto cosa portasse con se al momento del passaggio, mi ha candidamente risposto: “Mis papeles y mis santos”, i documenti e i miei santi.

Affidarsi ciecamente ai monili della Santerìa afrocubana è tipico della cultura popolare. Parte dell'indiscusso coraggio dei cubani proviene anche dalla dedizione alla dottrina.

La Flaca ha la pelle nera, è alta, asciutta e ricorda una bellezza Tutsi. Ha un bel viso regolare con un sorriso luminosissimo che raramente ostenta. Gli occhi a mandorla sfuggenti e neri come la pece, nei rari momenti in cui fissano, sarebbero capaci di bucare perfino la pietra.
Ha i capelli ricci e indomabili con cui battaglia sin da piccola con creme stiranti, estensioni e arnesi vari per renderli lisci, sogno di gran parte delle nere in ogni angolo del mondo.
La sua eleganza naturale contrasta con gli accessi d'ira che la trasformano fino a farla somigliare a un animale feroce che schiuma rabbia.
La Flaca ha un equilibrio psichico precario e oscilla fra stati di contentezza che sfiora l’euforia e momenti di profonda depressione. La sua esistenza è stata vissuta come un saliscendi delle montagne russe. Mi ha detto che per vivere come ha fatto lei finora bisogna avere una pinga (minchia) grande così, e non si può darle torto.

Ci vuole una bella dose di coraggio per decidere di attraversare da sola il confine in un punto di passaggio clandestino. Forse si tratta di pura incoscienza o la pinga di cui sopra ha giocato un ruolo chiave. 

Appena passato il confine, il cliente innamorato l’aspettava al varco della foresta e dopo averla caricata l’ha portata fino a Monaco di Baviera dove, approfittando del traffico, Yaneisy è saltata fuori dalla macchina e si è diretta verso la stazione ferroviaria, montando sul primo treno per Milano.

Si è poi incontrata con un’amica cubana sposata con un italiano, e dopo pochi giorni ha trovato un edicolante di Savona che si è subito innamorato.

Ancora una volta le sue capacità di circuire l’altro sesso hanno avuto il sopravvento. L’uomo ha presto deciso di sposarla ma lei, da donna espertissima e profonda conoscitrice dell’analisi della mente del genere opposto, ha vacillato a lungo, facendo credere che forse sarebbe stato più utile aspettare un po’ per conoscersi meglio prima di dare il passo fatidico.

L’indecisione ha convinto l’edicolante della buonafede della sua promessa sposa e questo ha forzato i tempi per prenderla in moglie.
A cose fatte la Flaca mi ha detto: “Me llevè mis santos pà su casa”, che si potrebbe tradurre così: gli ho impiantato i miei santi protettori in casa.

Dopo qualche tempo è tornata a Cuba per un breve soggiorno e il suo primo pensiero, nonostante le botte ricevute in gioventù, è per la madre. Le ha rinnovato il buco dove vive, le ha comprato tutti gli elettrodomestici immaginabili e cammina per strada omaggiata e riverita da tutti perché è ormai una turista, lo status più alto raggiungibile da essere umano secondo la scala di valori di molti cubani.

A metà 2019, dopo quasi vent'anni, l'ho rincontrata su di un aereo per Milano.
Si è risposata con un uomo del sud Italia e ha una seconda figlia. Mi ha detto che "la vida no la estaba tratando muy bien" e che avrebbe presto fatto richiesta per ottenere il reddito di cittadinanza...