giovedì 12 novembre 2015

I NERI CUBANI HANNO IL PISELLO PIU' LUNGO DEI BIANCHI?



Noi occidentali di pelle bianca siamo afflitti da uno strano complesso d’inferiorità nei confronti dei cubani di pelle nera che, secondo tutte le leggende tramandate fino ai giorni nostri, sembrano possedere “pingas” (minchie in slang cubano) molto più lunghe e dure delle nostre. Incidentalmente, in Brasile, la cachaça, il famoso liquore impiegato per fare cocktails, viene chiamato pinga...



e non ci fu mai caso di “false friends” linguistico più imbarazzante – basta pensare alle possibili varianti degli slogan dei cartelloni pubblicitari.




Sappiamo del “machismo” presente in America Latina e delle acutizzazioni che il fenomeno presenta a Cuba. 

In un discorso ufficiale, parlando dell’identità del popolo cubano, Fidel Castro ha detto: “Noi non siamo Latini, siamo più che Latini, siamo Afro-Latini Americani”.
Magari sarà stato un impacciato tentativo di blandire la componente della popolazione con ascendenza afro-cubana facendola artificialmente assurgere a etnia guida del paese. 
Pare più probabile che Fidel cosciente del fatto, per fortuna nostra non ancora scientificamente accertato, che i neri ce l’hanno più lunga e più dura, abbia voluto significare con l’uso del prefisso Afro che, per proprietà transitiva e accomunante, anche tutta la popolazione meticcia e bianca potesse acquisire le virtù sessuali tipiche dei neri.



 

Le leggende però hanno sempre un riscontro nella realtà, altrimenti non sarebbero leggende. 
Negli anni ’50 all’Avana esisteva, fra i tantissimi, un piccolo cabaret dove si svolgevano quelli che oggi si chiamerebbero peep shows, spogliarelli e altro. Nel locale in questione, all’epoca molto in voga, si esibiva un nero che sembra avesse la pinga (o terza gamba per i prosaici) più grande che abbia mai calcato un palcoscenico. 
L’uomo, nel corso dello spettacolo, dopo una articolata serie di pantomime, ostentava un’erezione con successiva eiaculazione che gli impresari riuscivano a procurare mostrandogli, senza che il pubblico potesse vederli, nascosti fra le quinte, due bianchi che copulavano furiosamente. 

Bisogna ricordare che per un nero, in quegli anni, vedere una donna bianca nuda era un impossibile privilegio - anche oggi i neri con un alto status sociale tendono ad accoppiarsi con donne bianche che vengono quasi paragonate ad un trofeo. 
Sulla scena, l'uomo era di fronte al pubblico che non vedeva la coppia di bianchi, si rivolgeva alla platea e nel frattempo guardava la coppia per eccitarsi. 
Viene subito in mente il grande Diego Velasquez e il famoso dipinto “las Meninas”. Lo stesso gioco di rimbalzi visivi, in questo caso in chiave hard-core. 

Si racconta che il nero, subito ribattezzato “Superpinga”, non potesse avere rapporti con la moglie né prima né dopo lo spettacolo, altrimenti il getto del suo sperma non avrebbe raggiunto le abituali distanze siderali (quindi, condanna perpetua all’orgasmo senza coito perché lo show andava in scena ogni giorno). 
L’eiaculazione, assolutamente spontanea, ottenuta senza manipolazioni di sorta, costituiva molto conseguentemente l’acme dell'intera rappresentazione. Sembra inoltre che gli spettatori delle prime file che al botteghino pagavano prezzi esorbitanti, venissero irrorati regolarmente di liquido seminale. 
La travolgente carriera di questo John Holmes ante litteram (anche noi bianchi, Deo gratias, possiamo vantare, persino con dovizia di documenti filmati, insigni esempi di superdotati) si esaurì tristemente quando il poderoso getto, con il passare degli anni, si trasformò in un insignificante e ridicolo schizzetto. 

Secondo Pedro Juan Gutierrez, che ne ha scritto in uno dei suoi romanzi, almeno fino a poco tempo fa, il Nostro, ormai avanti negli anni, mestamente languiva su di una sedia a rotelle. 
Non è un mistero inoltre che Hemingway, Ava Gardner, Errol Flynn, Brando e molte altre star di Hollywood, quando si trovavano all'Avana, fossero spesso presenti allo spettacolo, e che perfino Francis Ford Coppola, nella seconda parte del Padrino, abbia trattato l'argomento.(https://www.youtube.com/watch?v=SwFC9QKCzgw)




S’invoca a questo punto, per ridare a noi bianchi un minimo di dignità, l’intervento della Scienza della Statistica, branca perfetta ed incontestabile, affinché questa ci aiuti a ritrovare la verità. 
I miti vanno sfatati, e solo la scienza che tutti i sogni vacui distrugge, con la sua precisione può risolvere il nostro problema - i più radicali direbbero che la scienza i sogni li distrugge tutti e spesso addirittura c’impone di non sognare.
E’ necessario quindi accertare con seri studi prospettici, randomizzati, a doppio cieco e con coorti di volontari milionarie, chi ha la minchia (o pinga, secondo le latitudini) più lunga: bianchi o neri?
Ne va dell’orgoglio di un’intera razza!

mercoledì 7 ottobre 2015

UNA TRUFFA ALL'AVANA





In tutto il Sudamerica e in gran parte del terzo mondo, nelle grandi città esistono zone in cui un turista comune non può neanche pensare di entrare. La presenza di criminali senza scrupoli consiglia di stare alla larga. A Caracas, per esempio, ho visto alberghi con inferriate fino alle finestre del terzo piano. Bolivia, Colombia, Honduras e Messico sono ormai il cruccio delle agenzie dell’Onu e degli studiosi che si occupano di violenza e narcotraffico. Per non parlare di alcune zone del Brasile.

All’Avana invece, io, comune residente straniero, ho circolato per un paio di anni con i peggiori assassini della città e mai nessuno mi ha torto un capello. E’ vero che alcune frequentazioni devi aver voglia di sperimentarle. Ma so anche con certezza che molti turisti sprovveduti si sono accompagnati senza saperlo ai peggiori ceffi dell’Avana.

Lo straniero in questa città è sacro e inviolabile. Un pò perchè se lo tocchi come minimo ti danno trent’anni di galera, ma soprattutto perchè puoi sempre spillargli qualcosa. E i cubani che circolano per strada alla ricerca dei turisti non sono sempre stinchi di santo.
Nel mio caso, la scelta di frequentare persone che molti giudicherebbero poco raccomandabili è stata consapevole. 

Non parlo di tristi delinquenti d’alto bordo o truffatori di regime che pullulano in ogni parte del mondo ed entrano a pieno titolo nei salotti migliori. Mi riferisco a dignitosi straccioni che ammazzano o si ammazzano tra loro per disperazione sognando di diventare come Scarface a Miami o John Gotti a New York.
D’altra parte tutti sanno che chi ruba una gallina è un ladro e chi truffa o ruba miliardi al mondo intero è un genio.

Per più di un anno ho avuto una fidanzata che abitava all’Avana Vecchia nel quartiere Belen. E' stata per anni la donna di un personaggio molto in vista in quelle zone. Questo è poi caduto in disgrazia e ora marcisce in carcere. 

Yamilka mi ha presentato ai suoi amici come il suo uomo e non come un turista di passaggio. Così per due anni mi è spesso capitato di andar fuori con loro. Col tempo, e avendo preso confidenza, mi hanno raccontato le loro storie. Ho imparato parte del loro gergo fatto soprattutto di gesti minimi e occhiate che sembrano raccontare un romanzo. Forse ho anche avuto l’illusione di capire il prezzo e il valore di tutto, anche di una parola. Li ho visti trasformarsi in gentleman impeccabili per gabbare perfino i turisti più scafati.  

Ho anche retto il loro gioco perchè potessero mettere a segno una piccola truffa ai danni di turisti o malcapitati locali. Mi è successo di difenderli dalla polizia che voleva arbitrariamente arrestarli, garantendo la loro onorabilità. Mi hanno aperto il loro mondo e aiutato a capire tanto di questa città. Molto più di paludati studi di regime sulle cause dei malesseri sociali o sul perchè dell’aumento della delinquenza.
E’ sempre il campo di battaglia che ti fa capire. E in questa città hai la fortuna di poterlo frequentare senza rischi. Almeno per la tua pelle. 
Poi dipende da te e dalla tua capacità di offrire loro in cambio qualcosa in più, oltre ad una sbornia o qualche puttana, per divertirsi e conquistare la loro considerazione.


Una delle cose migliori di questa santa città è la possibilità di venire a contatto con chiunque, senza barriere sociali.
Guy de Maupassant diceva: “Neppure più riesco a ritrovarmi con le persone che un tempo incontravo con piacere, tanto le conosco, tanto so che cosa stanno per dirmi e cosa gli risponderò io, tanto mi è noto lo stampo dei loro pensieri immutabili, la piega fissa dei loro ragionamenti. Ogni cervello è un circo dove gira eternamente un povero cavallo imprigionato. Quali che siano i nostri sforzi, le scappatoie, le svolte, il confine è sempre là, perfettamente rotondo, senza sporgenze impreviste, senza aperture sull’ignoto. Girare, sempre girare bisogna: stesse idee, stesse gioie, stessi sbagli, stesse abitudini, stesse credenze, stesse disperazioni.”
Gli spiantati dell’Avana sono una apertura sull’ignoto! E la povertà mescola le carte più di ogni altra cosa.

Solo una bottiglia di rum di pessima qualità e il sesso che non costa niente calmano la noia e l’assenza di sogni possibili, che molti temono tanto. Ma per mettere del cibo sotto i denti bisogna inventarsi sempre qualcosa.

Anni fa sono stato reclutato da tre amici per mettere a segno una truffa ai danni di un tedesco convinto di comprare un dipinto di Renè Portocarrero. Il quadro era una orrenda crosta che i tre avevano deciso di vendere per 2000 dollari. 
Portocarrero è stato uno dei più grandi pittori cubani e latinoamericani di tutti i tempi insieme a Wilfredo Lam, grande sodale di Picasso. La sua pittura è stata fortemente influenzata dalla religione afrocubana e ha una produzione sterminata. 
I falsi abbondano a Cuba, e quello che volevano vendere al tedesco sembrava una gran sconcezza anche a me che ho poca dimestichezza con la pittura. 2000 dollari per un Portocarrero è un prezzo ridicolo, e chiunque capirebbe che si tratta di un bidone. 
Ma dall’Avana, fino alla fine degli anni '90, molti sono riusciti a portare via opere d’arte a prezzo da mercato ambulante rionale. Un pò per la fame che spingeva a svendere tutto (soprattutto nei primi anni '90) ma anche a causa di un mercato nero creato da diplomatici e mercanti d’arte stranieri che arrivavano a commissionare furti in case, i cui proprietari, prima dell’arrivo di Castro, navigavano nell’oro.

L’eco di questo commercio è arrivato anche in Europa, e fino al 2000 ogni tanto spuntava un pollo da spennare. E’ ormai diventato molto complicato contrabbandare opere d’arte perchè il regime, con grande ritardo, è corso ai ripari per arginare l’emorragia. Alla dogana ora sono tutti più accorti.

Il nostro gonzo avrà avuto 50 anni e non sembrava tanto sprovveduto. Ma sono quasi certo che di pittura ne capisse meno di me. Sembrava più che altro eccitato all’idea di portarsi a casa per pochi soldi un trofeo da mostrare agli amici, magari per dir loro che aveva gabbato quattro selvaggi. I tre compari avevano agito per bene e con molta disinvoltura. Lo avevano abbordato mentre girava per un mercatino, valutando dagli accessori e dai vestiti il suo potere di acquisto. I cubani di strada sono infallibili quando si tratta di capire a quanto ammonta il tuo conto in banca.
 
Sono riusciti a farsi passare per disperati morti di fame o ancora meglio ricettatori di piccolo cabotaggio che hanno urgenza di disfarsi di merce che scotta. E per essere più convincenti hanno mostrato al tedesco un vecchio orologio da polso di marca. A Cuba, agli inizi del secolo scorso, si producevano degli orologi marca Cuervos y Sobrinos che continuano ad avere un pò di valore ancora oggi. I tre ne avevano rubato uno tempo prima e glielo hanno ceduto ad un prezzo abbastanza ridotto, sperando che mordesse l'esca. Quando gli hanno proposto di comprare un dipinto, il tedesco si è lanciato. 

A quel punto entravo in gioco io. Mi sono fatto trovare in una casa fuori dai circuiti turistici mentre esaminavo un piccolo busto di marmo che avrei dovuto comprare. 
Ero con una donna che recitava la parte della padrona di casa. Appena arrivati i quattro, ho iniziato a far finta di non capire bene la lingua, inventandomi uno strano gergo a metà tra lo spagnolo più sconquassato e l’italiano. Il tedesco, per mia sorpresa, parlava un buon italiano perchè passava le vacanze estive sul lago di Garda da anni. A quel punto tutto è filato via liscio. Quando i tre amici hanno capito che avevo stabilito un contatto con la vittima mi sono sentito improvvisamente l’attore principale. 
Secondo gli accordi avrei dovuto essere un semplice figurante ma, in un attimo, quasi tutto l’esito della truffa dipendeva da me. Ero io il protagonista. Per fortuna ho mantenuto la calma e ho sfoderato il mio miglior repertorio, se mai ne avessi avuto uno. 

Ho osannato la impeccabile fattura del busto in marmo che tra l’altro non era un falso. Credo fosse un pezzo di fine '800 che raffigurava una donna avvolta in un velo. Mi sono anche ricordato che in quel periodo i marmisti che circolavano all’Avana erano quasi tutti italiani e, fingendomi un conoscitore, ho azzardato l’ipotesi che si trattasse di marmo di Carrara lavorato da artigiani trapiantati a Cuba per soddisfare le voglie dei ricconi del tempo. E alla fine ho deciso di comprarlo per 1000 dollari. Ho tirato fuori i soldi e li ho dati alla donna. Avvolto il busto con una coperta, lo abbiamo caricato sulla mia macchina dove era rimasta ad aspettare un'amica che agiva da comparsa. L’intera scena si è svolta sotto gli occhi del tedesco che a quel punto ha pagato i 2000 dollari, ha preso il dipinto, ed è andato via contento.

Non sto a descrivere la felicità dei miei tre amici e la loro ammirazione nei miei confronti. Avevo tenuto bordone come un consumato truffatore. Per non parlare del credito acquisito dopo la nefandezza. E quella sera rum e puttane fino allo sfinimento.


mercoledì 9 settembre 2015

STORIA DI SCHIAVI NERI AFROCUBANI. TRADIZIONE ORALE YORUBA.


La verità e la menzogna si incontrarono e fecero subito scintille. La verità era più forte ma la menzogna aveva un machete affilatissimo. Quando si scontrarono, la menzogna tagliò la testa alla verità ma la verità, a tentoni, riuscì ad afferrare la menzogna, a strapparle la testa e a metterla sul proprio corpo. 

E da quel giorno gira per il mondo questo strano e pericoloso animale con il corpo della verità e la testa della menzogna.





venerdì 29 maggio 2015

IL DIVORZIO DEI CUBANI



I cubani restano a dir poco smarriti quando cerco di spiegare che in Italia, fino a poco tempo fa, occorrevano ben tre anni per ottenere una sentenza di divorzio. Se poi aggiungo che, nei casi di mancato accordo fra i coniugi, si poteva aspettare fino a cinque anni, addirittura trasecolano e non credono alle proprie orecchie.
 Solo in poche occasioni ho avuto il coraggio di dire che fino al 1970 il divorzio in Italia era proibito, e che c’e’ voluto un referendum per ottenerlo. Lascio immaginare i loro commenti sulla nostra presunta superiorità culturale. 

I cubani sono sempre rispettosi dei costumi stranieri, ma non possono fare a meno di sganasciarsi dalle risate al pensiero che debba passare un lustro prima di liberarsi del coniuge e che, fino al 1970, l’Italia intera era costretta alla monogamia a vita, condizione intollerabile per un cubano e per una cubana che, alla eventualità di un “matrimonio-martirmonio”, preferirebbero certamente il suicidio. 
Se poi racconto che, fino al 1978, se abortivi ti mettevano in galera per 5 anni, mi prendono per matto.

Tornando a Cuba, la legislazione che regola il divorzio anche qui si è evoluta, ma nella direzione opposta. 
Per fortuna per ragioni che hanno ben poca relazione con le pressioni esercitate dalla chiesa cattolica in Italia perché si ritardasse l’acquisizione e l’esercizio di un diritto sacrosanto. Fino a qualche anno fa, nella più frivola e scomunicata delle isole dei carabi, ci si sposava e si divorziava nel giro di qualche settimana. 

Lo Stato provvido, premuroso e zelante, con il chiaro intento di invogliare la popolazione alla procreazione, nutrendo quindi con nuova linfa la “Revoluciòn”, assicurava una cospicua serie di “fringe benefits” ai novelli sposi perché questi potessero reintegrare le spese di rigore per la celebrazione del matrimonio. 

Al momento della presentazione dei documenti necessari per contrarre il vincolo, la coppia otteneva una speciale cedola che dava loro diritto a 15 casse di birra, una cassa di bottiglie di Rum, una torta e un sostanzioso sconto per l’acquisto del corredo e dei vestiti di entrambi gli sposi. 
Inoltre lo Stato forniva perfino il locale dove celebrare la cerimonia. Si tratta di uno dei palazzi più belli del centro storico, ancora adibito a sala ricevimenti. Bastava prenotare giorno e ora.





Subito dopo la caduta del muro di Berlino e il conseguente tracollo economico, i vertici politici e amministrativi dell’isola hanno visto crescere a dismisura il numero di matrimoni e divorzi. Si era infatti creato un florido mercato di “fringe benefits”, poi rivenduti alla borsa nera. Dopo aver incassati i soldi della vendita, i novelli sposi, d’accordo con i funzionari che si occupavano del disbrigo delle pratiche matrimoniali, rapidamente provvedevano a richiedere il divorzio e, grazie all’aiuto di quest’ultimi, prontamente lo ottenevano, correndo così a risposarsi per mettere le mani sul nuovo lotto di casse di birra, rum ed altro.

Si è subito corso ai ripari ponendo come limite minimo il termine di sei mesi per l’inoltro delle pratiche di divorzio!

Mentre noi, nella nostra Italia ostaggio della chiesa, riduciamo i limiti temporali per l’ottenimento del divorzio, lo stato più laico del mondo è costretto ad allungarli, e non certo per ragioni di confessione religiosa!


giovedì 23 aprile 2015

BALSEROS, I MIGRANTI DEI CARAIBI.


            
                                                   
                                                     

Gli esodi e il conseguente “destierro” sono una nota ricorrente nella storia dell’America Latina, e se in un certo periodo storico si fugge da una terra, in un altro può esserci l’affannosa rincorsa a raggiungerla. 

Da queste parti, i primi arrivi dei neri furono assolutamente indipendenti dalla loro volontà, e lo sradicamento dal proprio ambiente avvenne nei modi più atroci e impensabili. 
In questo caso non vale la pena di parlare di esodo verso Cuba. 
Il termine è però sempre presente nel lessico dell’isola. Sin dai primi anni che sono seguiti alla rivoluzione castrista, la questione della fuga in massa verso gli Stati Uniti ha costituito il cardine di ogni politica e scambio bilaterale tra i due paesi, separati da un braccio di mare largo appena 90 miglia.

Le traversate in mare verso un paradiso promesso o come nel passato, nel caso degli schiavi neri, verso un inferno garantito, sembra siano, almeno in parte, la chiave di volta per leggere e cercare di comprendere l’essenza di quest’isola. 
La parola esodo evoca scenari d’ogni sorta, ma quello che realmente succede nello stretto della Florida da più di 30 anni non può paragonarsi a niente di conosciuto, e ogni tentativo di azzardare similitudini con ciò che accade da altre parti risulterebbe fuori luogo e improponibile. 

Se un cubano vuole andar via dalla propria terra ha diverse opzioni a sua disposizione, legali ed illegali. Può, per esempio, iscriversi ad una strana lotteria qui definita “el bombo”. Si tratta di un sorteggio per ottenere la concessione di un visto da parte delle autorità americane. Vengono raccolte alcune migliaia di domande all'anno, e dopo aver accertato la buona volontà e la totale assenza di precedenti penali dei candidati, si procede all'estrazione a sorte di un numero prestabilito di visti che, una volta assegnati, danno la possibilità ai fortunati vincitori di espatriare senza problemi. 
E’ ovvio che esistano anche casi di corruzione ed imbrogli vari per accaparrarsi il diritto all'espatrio, con denaro che passa di mano in mano nel tentativo di corrompere i funzionari americani. Chi vince “el bombo” si trasforma in una celebrità, diventando l'incarnazione della buona sorte.

https://cubanosporelmundo.com/blog/2014/09/30/loteria-visas-eeuu-dv-2015-abierto-desde-manana-primero-octubre/

                                    

Un'altra strada percorribile prevede, per i cubani che vivono negli Stati Uniti ed hanno già acquisito la cittadinanza americana, la possibilità di far domanda all'ufficio immigrazione americano per ottenere, grazie all'istituto della riunificazione familiare, il diritto per i familiari più prossimi a stabilirsi negli Stati Uniti. 
Le procedure sono lente e macchinose e a volte vanno a buon fine.
Si può anche ottenere un visto provvisorio per turismo se si viene invitati da uno straniero che si fa carico di tutte le spese di trasporto e sostentamento del cittadino cubano ed in questo caso, una volta messo piede sul suolo straniero, se si trovano condizioni favorevoli, si può rimanere nel paese ospite.

L'altra possibilità è il matrimonio con uno straniero. Ciò consente al cubano di ottenere quasi istantaneamente il diritto a viaggiare. 
Nei casi in cui non esista altro modo per andare via, fino a oggi, non resta che costruire un mezzo di fortuna e lanciarsi in mare.
Negli ultimi anni le capacità creative dei cubani che hanno come obiettivo il raggiungimento dei Cayos della Florida si sono affinate notevolmente. Alcuni sprovveduti hanno perfino sperimentato di rifugiarsi nell'alloggiamento del carrello di un aereo che copriva la rotta tra l'Avana e Miami. Sono morti stecchiti dal freddo.

Altri hanno provato a fuggire in windsurf e si racconta di un ragazzo che sia riuscito a farcela dopo un paio di tentativi andati a vuoto. Zattere di fortuna d'ogni forma e dimensione, camion resi galleggianti da un complicato sistema di pneumatici assicurati alla scocca con dubbi mezzi  (in questo caso la propulsione era garantita da un'elica artigianale fissata a ciò che in origine era l'asse su cui giravano le ruote, strana specie d'anfibio fatto in casa), piccoli aerei costruiti assemblando pezzi di diversa derivazione. Tutto fa brodo pur di fuggire verso gli Stati Uniti e ricongiungersi con i propri cari.











L’indiscusso primato dell'astuzia lo detiene una ragazza di 23 anni che sin dal 1999 aveva deciso che sarebbe andata via da Cuba con ogni mezzo. C’è riuscita facendosi rinchiudere in una cassa da trasporto della DHL di 99cm.x66.
Dopo sei ore trascorse in posizione fetale all'interno dell'inusuale involucro, quando ha capito che si trovava sul suolo americano, Sandra ha iniziato a battere i pugni sulle pareti della scatola. 
I funzionari dell'ufficio DHL di Miami, esterrefatti e spaventati, hanno chiamato la polizia di frontiera che ha aperto la cassa trovando la ragazza in perfetta forma, solo un po’ indolenzita. 
Non si sa come abbia fatto a convincere gli impiegati cubani della compagnia di spedizione a rinchiuderla nella cassa perché la questione è ancora, come si dice in questi casi, al vaglio delle autorità competenti. Fatto sta che adesso si è ricongiunta ai suoi parenti, coronando il sogno di una vita.


Per rendere tutto più comprensibile, bisogna dire che negli Stati Uniti è in vigore da anni una strana legge che sembra avere come obiettivo principale quello di assicurare un sostanzioso apporto di proteine di carne umana alla dieta degli squali che infestano il canale della Florida.
Si chiama “ley de ajuste cubano” o “ley del piè seco y del piè mojado” e venne promulgata ai primi anni ’90 proprio per favorire l’espatrio illegale dei cubani nel tentativo di creare tanto scompiglio da giustificare o un blocco navale per arginare il flusso o un intervento armato per riappropriarsi dell’isola, adducendo come motivazione l'instabilità politica. O almeno molti così la interpretano.



Tutti gli immigranti illegali che provengono dal Sud America o da altri paesi vengono immediatamente rimpatriati, mentre i cubani che riescono a mettere piede sul suolo americano, sbarcando direttamente dai mille mezzi di fortuna con cui raggiungono gli Stati Uniti (da qui la definizione di piedi asciutti o bagnati), acquisiscono immediatamente uno status che li equipara a dei rifugiati politici e vengono, dopo essere stati interrogati, accolti e smistati in centri di lavoro appartenenti allo Stato per favorire la loro integrazione. Generalmente li si dirotta verso zone lontane dalla Florida per evitare una abnorme crescita della già numerosissima colonia di cubano-americani che esiste da quelle parti. Nel caso in cui un amico o un familiare si faccia carico della loro sussistenza, possono trasferirsi dove preferiscono. Basta una firma e l’impegno formale ad occuparsi, almeno nel primo periodo, dell’amico o parente a seconda dei casi.

Grazie a questa insana legge, l'esodo forzato verso le coste della Florida mantiene vivo da anni un flusso costante di immigrati, alimentando così le casse dei trafficanti d'uomini che arrivano a chiedere fino a 10.000$ per un posto su di un motoscafo veloce che copre il braccio di mare in poco più di tre ore. Chi non possiede simili cifre si lancia in mare con qualsiasi mezzo.  E si tratta della stragrande maggioranza.

http://www.telesurtv.net/news/Conozca-la-politica-estadounidense-Pies-secos-pies-mojados-20150121-0041.html

Sin dall'inizio della “Revoluciòn”, le ondate migratorie si sono succedute secondo un modello che stranamente ha quasi sempre rispettato cadenze decennali. Il primo esodo si è avuto immediatamente dopo l'insediamento dei Barbudos. In questo caso si trattava di ricchi esuli che abbandonarono il paese in aereo, senza ostacoli da parte dello stato cubano. Poi, attorno al 1965, venne il “Camarioca”, esodo illegale ma tollerato dai cubani e che prese nome dal porto d'imbarco da cui si fuggiva.
Negli anni ’80 ci fu il “Mariel”. Si tratta della fuga in massa più famosa, assieme a quella dei primi anni ’90, e anche in questo caso prende il nome da una località portuale ad ovest dell'Avana. 
In quell'occasione Castro approfittò della situazione e aprì le carceri concedendo un permesso speciale di tre giorni a tutti i peggiori delinquenti dell'isola che, capita al volo la situazione, si affrettarono ad organizzarsi per poter raggiungere la Florida. 
Il famoso film “Scarface”, con Al Pacino nel ruolo di un esule cubano, racconta appunto la storia di due bulli che in pochi anni si impadroniscono del mercato degli stupefacenti di Miami dopo essere fuggiti dall'isola proprio nel periodo del “Mariel”. 



Ancora oggi negli Stati Uniti, molti datori di lavoro, al momento di impiegare dei cubani, s'informano per sapere in che periodo questi sono arrivati in America. Se corrisponde all'esodo del “Mariel”, generalmente negano il posto.

Quando l'Urss decise, dopo la caduta del Muro di Berlino, di abbandonare Fidel al proprio destino, la situazione economica dell'isola precipitò, e ai primi anni novanta, nel pieno rispetto della cadenza ciclica che caratterizza gli esodi post-Revoluciòn, si ebbe un'altra fuga massiccia favorita dalla “ley de ajuste cubano”. 
Durò circa 4-5 anni e solo il canale della Florida, tanto celebrato da Hemingway per l'abbondanza di pesce, conserva il segreto sul numero di cubani che persero la vita durante l'esodo più cruento della storia dell'isola.

Pochi sanno quanti siano stati i cubani che hanno preso il mare nel corso degli anni nel tentativo di raggiungere l'Eldorado della Florida. E ancora più scarse sono le informazioni sul numero di morti inghiottiti dal profondo canale che separa le due nazioni.
La corrente del Golfo del Messico passa proprio da lì, per poi rifluire verso il nord Europa portando acque calde sin sulle coste dell’Islanda, contribuendo a mitigarne il clima che altrimenti, a causa della latitudine, sarebbe assolutamente proibitivo. Non risulta quindi troppo difficile immaginare la forza delle correnti presenti nel canale della Florida. E dove c’e’ corrente, c’e’ tanto pesce.  
Per questa ragione Hemingway arrivò a dire che quella era la zona più pescosa che avesse mai visto, con pesci di taglia enorme. 
Il “Pilar”, che lo scrittore ormeggiava nel porto di Cojimar, a pochi kilometri dall'Avana, ha scorazzato per quei mari per anni e i racconti del Papa, come i cubani chiamavano il grande americano, aiutano a capire le condizioni presenti nello Stretto.

Chi prende il largo in direzione nord, oltre ai pericoli di un attraversamento di 90 miglia a bordo di zattere di fortuna, deve affrontare l’ostacolo delle correnti e delle onde. Nella prima parte della traversata, per circa 30 miglia, le onde sono quasi sempre contrarie e bisogna remare incessantemente per superare l'ostacolo. Quando poi la piattaforma sprofonda nel canale vero e proprio, si affrontano onde alte e lunghe che il più delle volte non frangono ma presentano l'enorme impaccio dello scarroccio che spinge le zattere lontano dalla Florida, ad occidente, verso l'enorme gola del Golfo del Messico, tanto ampia da garantire morte sicura.
Bisogna quindi valutare attentamente la direzione da prendere, risalendo le onde, per poter atterrare sulle coste della Florida senza sorprese. Dal punto di vista strettamente nautico, questa è la parte più impegnativa della traversata. Si rema contro una corrente fortissima e la fatica fatta nel primo tratto si fa sentire. E’ quella la zona piena zeppa di squali a caccia del pesce che viaggia in balìa della corrente. Quando finisce il canale, il fondo risale e la corrente di solito spinge le zattere verso la costa dei primi isolotti della Florida.





Ci sono però alcuni inconvenienti che hanno poco a che fare con gli elementi naturali e rendono la traversata simile a un impegnativo videogame ad ostacoli di ultima generazione. I migranti devono evitare in primo luogo le pattuglie cubane che controllano le acque territoriali vicino la costa. Se si riesce a superare questo primo intralcio, oltre agli squali, c’è il rischio concreto di imbattersi in altre zattere di connazionali che hanno pensato di prendere il largo negli stessi giorni. Gli abbordaggi ai danni di compatrioti con mezzi più solidi ed affidabili sono all'ordine del giorno. D'altra parte in questa zona i pirati hanno infuriato per secoli e si tratta solo di emularne le gesta. Dopo l'arrembaggio si gettano i sopravvissuti fuori bordo, ci si impossessa del natante e si continua verso la Florida. 

Una volta arrivati nelle acque americane bisogna sperare di non essere intercettati dalle vedette locali, altrimenti il rimpatrio è sicuro. La legge, come già detto, impone di toccare il suolo americano con i piedi asciutti. Esiste una piccola deroga. Si può anche fare l'ultimo tratto a nuoto, basta non farsi beccare in acqua e raggiungere la costa. Una volta a terra, il videogioco è finito e può iniziare la vera vita nella terra promessa.

Ne ho conosciuti parecchi di balseros rimpatriati. C’è ne uno che ha provato a scappare 5 volte, e in seguito ad ogni tentativo si è fatto un po’ di galera. Una volta fuori ha sempre riprovato. Mi ha detto che in una un'occasione ha quasi raggiunto la costa. Purtroppo per lui, la guardia costiera americana lo ha preso a meno di un miglio da terra e lo ha riconsegnato ai cubani. Ormai pare si sia calmato perché da qualche anno lo vedo circolare in città . Se sparisce, vorrà dire che o è in galera o ha raggiunto Miami.

Ci sono anche casi di cubani famosi che sono fuggiti con zattere di fortuna. Il giocatore di baseball Orlando “el Duque” Hernandez, nel 1995, insieme ad altri due giocatori meno famosi, si è fatto tutte le 90 miglia a remi. Hernandez ha poi giocato per anni con gli Yankees di NY e i White Sox di Chicago




Il mio amico Roberto invece, meno atletico di Hernandez, ha dovuto costruire una zattera a vela. Roberto è andato via nel ’93.
L'intero periodo di preparazione fisica e di costruzione del mezzo è durato circa tre mesi. Con il rischio costante che i vicini capissero cosa si stava organizzando. La sua casa si trova a 100 metri dalla spiaggia e a 25 km dall'Avana, in un quartiere residenziale chiamato Brisas del Mar.
La costruzione e collaudo a secco della zattera sono avvenuti nel salotto perché armeggiare all'aria aperta con fusti galleggianti, remi e vele avrebbe insospettito chiunque. Così, per tre mesi, non si è ricevuto nessuno in casa. Anche questo comportamento, data la vicinanza con il mare e il costante controllo della polizia, costituiva un rischio.
La zattera, il giorno stesso della fuga, sarebbe stata smontata per farla passare attraverso la porta di casa. Una volta in spiaggia si sarebbe rimontata definitivamente. Nel frattempo, Roberto e gli altri avevano rimediato un vogatore in disuso per potersi allenare. In caso di assenza di vento i remi sarebbero stati l'unica salvezza. 
La traversata si intraprende senza prestare orecchio alle previsioni del tempo. Basta che in spiaggia non ci sia troppa polizia o curiosi e si salpa.


Roberto a quel tempo era sposato con Carmen e avevano avuto un figlio che al momento della fuga compiva 5 anni. Anche Carmen sarebbe andata via negli stessi giorni. Ma non con il marito perché se fosse andata male il figlio avrebbe perso i due genitori in un solo colpo. In caso di successo di almeno uno di loro si sarebbe chiesto il ricongiungimento familiare, e in caso di minori questo si ottiene facilmente. 

Carmen e Roberto avevano preso accordi con uno scafista cubano-americano che in sole tre ore avrebbe traghettato Carmen dall'altro lato dello stretto per 6500 dollari, gli unici soldi che la coppia aveva. Risparmi di una vita, prestiti di amici e parenti ma non abbastanza per pagare due viaggi. Carmen ha la precedenza e va in motoscafo, anche se perfino con un mezzo veloce corre il rischio di essere rimpatriata. Roberto si deve arrangiare.


Il primo problema, quando la spiaggia è pattugliata dalla polizia, è quello di trovare un buco tra le maglie del controllo che consenta il varo. I poliziotti passeggiano lungo la battigia e comunicano tra loro con le radio. In spiaggia, di notte, spesso ci sono dei pescatori con delle lanterne. Ad ogni poliziotto è assegnato un tratto di circa 1 km. che si percorre avanti e indietro. Parlando via radio non si incontrano mai tra loro. E quando si trovano alla massima distanza l'uno dall'altro si creano dei buchi. Attraverso questi spazi si può sgaiattolare via. 
Roberto aveva anche scoperto e sperimentato che mettendo in linea sulla spiaggia un paio di lanterne a poco meno di 100 metri l'una dall'altra, il poliziotto ha l’impressione che ci sia un pescatore in spiaggia e così comunica al suo collega che tutto è a posto. Quando poi i due si allontano in direzione opposta per tutta la lunghezza del km. da pattugliare, grazie al centinaio di metri guadagnati con lo stratagemma delle lanterne, rimane tempo abbondante per lanciarsi in mare senza il rischio di essere visti o sentiti. Dopo aver provato l'accorgimento diverse volte durante i pattugliamenti, Roberto era sicuro che tutto sarebbe andato bene.

A bordo della zattera a vela, oltre a quattro remi e un timone, c'erano una bussola, latte, marmellata, destrosio, pane e riso in abbondanza. L'acqua era dentro alcune bottiglie di plastica, ma dopo poche miglia la maggior parte è andata persa perché miscelata a quella di mare. Nella concitazione del varo i quattro le hanno pestate quasi tutte.
Non avendo torce elettriche, per fare un po’ di luce a bordo hanno usato una vecchia lanterna ad olio. Con la luce diffusa però li avrebbero subito individuati e l'unica soluzione, adottata da tutti i balseros, era di rivestire la lanterna con uno spesso telo nero con un piccolo foro da cui filtra un raggio per controllare il fondo della zattera. 



Hanno impiegato 5 giorni a raggiungere i primi Cayos della Florida. La terza notte, uno squalo inizia a scortarli nella speranza che qualcuno cada in mare. Si affianca al bordo della zattera, alto circa 70 cm. Per un paio d'ore Roberto si ritrova la sua pinna all'altezza della spalla. Appena arriva l'alba vede a poche decine di metri un'altra zattera molto più solida e di dimensioni maggiori. 




Era vuota e alla deriva. Decidono allora di trasbordare. 
Mentre sono impegnati nelle manovre, si accorgono che ci sono dei pezzi di corpi umani che galleggiano lì vicino. Probabilmente, vinti dal sonno e dalla sete, gli occupanti erano caduti fuori bordo. Iniziano allora a litigare perché uno di loro non vuole montare sulla nuova zattera per niente al mondo, nonostante questa garantisca un approdo più sicuro e certo. Urla che è stregata e porta sventura. Alla fine, dopo aver trovato un accordo, saltano su e vanno avanti. Erano a poche miglia dalla Florida, e in qualche ora hanno raggiunto la costa.




Roberto mi ha raccontato delle piaghe alle mani e sulla schiena e dello stato di semi-incoscienza in cui è piombato a poca distanza da terra. Mi ha anche detto che ha quasi perso la ragione per la gioia di avercela fatta e di non essere morto mangiato vivo dai pesci.




Adesso non riesce più a fare il bagno in mare e quando prende l’aereo che attraversa il canale della Florida e lo riporta a Miami, ancora oggi, se guarda il mare dal finestrino, immancabilmente vomita.
I posti sui voli diretti Miami-Avana sono riservati ai cubano-americani che tornano sull'isola per rivedere i propri familiari. 
Pare che il consumo di sacchetti per il mal d’aria su quei voli sia maggiore che in ogni altra tratta.














martedì 17 marzo 2015

IL CIMITERO DELL'AVANA


Solo visitando i cimiteri si comprende lo spirito di un popolo.
Anonimo
     

La necropoli di Colòn all’Avana è il cimitero più grande del continente americano. I cubani e gli habaneros sono ossessionati da ogni varietà di primato, ma in questo caso hanno piena ragione di rivendicare la certezza del proprio record. Nel Cementerio Colòn ci sono più di due milioni di tombe. E i mausolei costruiti durante il periodo d’oro della città mostrano lo stesso sfarzo delle case appartenute ai loro ospiti. In alcuni casi si tratta di vere e proprie palazzine interamente costruite con marmo di Carrara.


Ogni cimitero ha le proprie leggende da raccontare. Su Colòn se ne sentono di tutti i colori. L'enorme necropoli abbraccia due quartieri, e secondo molti condiziona la vita di quelli che ci vivono a fianco. Dicono che i morti emettano energia perfino da morti e che l’intero corpo costituito da due milioni di scheletri non può non influenzare la vita dei due quartieri limitrofi. E che le vibrazioni siano troppo violente per non essere avvertite.
Il Vedado e il Nuevo Vedado sono fra le zone più esclusive della città, le prime aree residenziali di inizio novecento sorte attorno al cimitero. Lasciando da canto le energie che tanti cadaveri concentrati in un unico camposanto possono sprigionare, come in tutti i cimiteri che si rispettino, esiste una tomba che sta in cima alla hit parade delle visite dei vivi. Di solito, quando si raggiunge il top della classifica, si rimane saldamente in testa per secoli perché si entra nella leggenda che si autoalimenta e diventa indomabile.

La superhit del Cementerio Colòn è la tomba di Amelia Goyri detta la "Milagrosa". Morì di parto nel 1901 a 24 anni insieme al figlio e venne sepolta con la creatura ai suoi piedi, come si usava a quei tempi in casi simili. Quando si riesumarono i due cadaveri per far posto al marito, si scoprì che il piccolo era in braccio alla madre e non più ai suoi piedi. Da lì i racconti circa la capacità della donna di dare fertilità a chi l'avesse persa. Iniziò verso la tomba il pellegrinaggio di molti habaneros e abitanti delle provincie che invocavano i miracoli della Milagrosa. La consuetudine si è estesa fino ad oggi e la tomba della Goyri continua ad essere la più gettonata di tutte.



E dire che all’interno della necropoli ci sono fior di personaggi. Vere star. I migliori giocatori di baseball del paese, i più grandi artisti e scrittori, musicisti d’ogni tipo, eroi della “Revoluciòn”. Tutta gente riverita non solo qui, ma anche nel resto del mondo. Autentiche glorie nazionali. Il meglio dell’isola è sepolto in questo cimitero.



Ci sono mille capolavori architettonici, mille angoli da visitare. A cominciare dall’enorme arco d’entrata in marmo di Carrara. Innesti funerari ottenuti fondendo motivi della Santerìa con quelli della religione cattolica, mausolei in stile gotico e in art nouveau, perfino una tomba a forma di piramide. Ai più curiosi ricorderei che i Santeros, i sacerdoti Lucumì, comprano teschi e ossa umane dai custodi per poi impiegarle nei più complicati riti religiosi. Ci sono tanti motivi per scegliere altri percorsi.


Eppure, la tomba più visitata è fra le meno appariscenti, fra le più comuni. Grazie alla leggenda del bambino morto in fasce che si ritrova in braccio alla madre.
Forse la ragione di tanta notorietà sta nel fatto che la Milagrosa, che ridà la fertilità e propizia la procreazione, simboleggia il più grandioso inno alla vita, proprio nel luogo in cui la morte è definitiva sentenza. E’ il grido di una donna che muore di parto insieme al figlio, ma riesce a trasmettere la vita ad altri, anche da morta. La Milagrosa dona la vita e fa nascere i figli a chi non può averne. E lo fa nel bel mezzo di un cimitero. Sublime cultura popolare?

Tra torce di marmo messe sottosopra come a mostrare che lì si estingue il fuoco e clessidre che ricordano il tempo che fugge, la Milagrosa riesce a ridar spirito vitale e speranza alle donne sterili, sue più devote ammiratrici. E se continua a essere oggetto di tanto pellegrinaggio, oltre alla capacità di autosostentamento che hanno le leggende, qualcosa di vero ci dovrà pur essere. Non sarà che la Milagrosa ha veramente fatto qualche bel miracolo? 

La chiesa cattolica non ha mai potuto prendere in considerazione il suo caso. Il governo, preoccupato per l’idolatria che ne circondava la figura, ha sentenziato, con tanto di testimoni d’occasione, che all'atto dell'esumazione la creatura era stata ritrovata non in braccio ma ai piedi della madre, così come era stata sepolta. 
Qualcuno azzarda l’ipotesi che il timore del governo non fosse il feticismo o l’idolatria, ma il pensiero che la Milagrosa potesse continuare a mantenersi salda in testa alle classifiche di questa insolita hit parade, costringendo chiunque altro al ruolo di comprimario.
Farsi interrare nel Cementerio Colòn sarebbe quindi, almeno per alcuni, una sfida. La chiesa cattolica ha disseppellito un Papa e dopo averlo messo a sedere davanti ad una corte, lo ha giudicato colpevole e gli ha fatto tranciare le tre dita usate per benedire i fedeli. Sorte simile è toccata a Rasputin il cui cadavere è stato bruciato per paura di reincarnazioni.
Chi conosce la Storia, credo voglia farsi cremare per evitare visite sgradite.