giovedì 7 giugno 2018

AVANA LA DOPPIA

“Non potrei vivere da nessun’altra parte. So che il regime è una limitazione ma mi sentirei a disagio lontano dalla musica che i vicini mettono a tutto volume e a qualsiasi ora, senza le grida di chi vende uova, cipolle e pesce, senza i ruggiti dei vecchi autobus che attraversano le strade. 
E poi, tante altre città sono stupende, ma io le trovo mute, mentre l’Avana mi parla: io ascolto quella che si vede e quella più nascosta, la pulita e la sporca, la buona e la cattiva. Tutte insieme nutrono la mia fantasia, si completano e mi completano come uomo, e questo senso di me non vorrei perderlo per nessuna ragione al mondo”.

L. Padura Fuentes



Qualche anno fa il centro storico dell’Avana Vecchia è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Si tratta della zona di pregio architettonico più grande dell’America Latina e includendo il quartiere Centro Habana, dicono sia la più grande del mondo. 
Ma a parte le trionfalistiche considerazioni su primati di secondaria importanza - perfino i palermitani affermano che il loro centro storico è il più grande del mondo - vale la pena di dire che la zona storica dell’Avana è di una bellezza unica. 
E’ il vero cuore pulsante della città.  



Una buona parte è stata risanata con ottimi risultati estetici. I turisti che circolano in quelle zone restano incantati dalla bellezza degli edifici,



delle piazze e delle decorazioni ancora fresche di pittura. Ma tutto sembra un po’ finto, riordinato con l’unico fine di far sentire chi visita quei luoghi parte

di una Disneyland di pietre,  muraglioni, ex-conventi, palazzi nobiliari che ci riportano all’epoca d’oro della città, quando l’Avana era il centro del Nuovo Mondo, ma senza trasmetterne l’essenza. 




Sarà perché quando si vuota un centro storico dei suoi abitanti e lo si popola solo di turisti si fa una operazione di ripulitura esteriore


che rende l’ambiente totalmente asettico spegnendone ogni sussulto vitale, rendendolo semplicemente morto - to gentrify anche quì è ormai un verbo conosciuto.



Questa è la prima impressione che si prova girando per la zona ristrutturata che corre lungo il vecchio Malecon

Se ci si spinge più in là dei confini della “Disneyland Habanera” si apre un altro mondo di uomini, donne, vecchi e bambini che lottano contro i mille ostacoli quotidiani:
dall’approvvigionamento dell’acqua al funzionamento della rete fognaria, dalla ricerca di pochi spiccioli per mangiare al perenne tentativo di vendere ai turisti di passaggio sigari, rum o altri generi locali. 



Gli edifici non inclusi nei piani di ristrutturazione sono spesso in condizioni disastrose. Battuti dalla pioggia e dal sole, dopo anni di incuria, invariabilmente crollano.




Il “derrumbe”, il crollo improvviso, è una realtà con cui bisogna convivere ogni giorno. La solidità dei palazzi dell’Avana Vecchia è ormai un miraggio data la quasi totale assenza di  manutenzione.



Quando finisce la stagione delle piogge e ritorna il sole i crolli si moltiplicano, e il dazio in termini di vite umane è altissimo. 
Dopo essersi inzuppati d’acqua per giorni, i muri portanti, ai primi raggi di sole, letteralmente si sbriciolano e spesso portano giù anche gli edifici confinanti. 

Il rombo del crollo si sente anche da grandi distanze, soprattutto se avviene di notte quando il battito della città è appena rallentato e i rumori in parte attutiti. In questi casi, purtroppo, il numero di morti aumenta perché il sonno riduce la soglia di attenzione e non si avvertono gli scricchiolii premonitori. 


Ad aggravare la situazione c’è l’assenza di controlli sulle ristrutturazioni e variazioni interne. I tetti altissimi consentono di ricavare, con la costruzione di appositi soppalchi chiamati “barbacoas”, spazi doppi vitali per rendere più vivibili gli appartamenti - la traduzione del termine è barbecue e si tratta della zona letto dove d’estate si viene cucinati a fuoco lento dal caldo.
Quasi tutti gli abitanti possiedono una “barbacoa” che appesantisce la struttura principale e contribuisce a tirarla giù quando arriva il momento opportuno. 

Nonostante i problemi strutturali e lo sfiguramento delle facciate, i palazzi di queste zone trasmettono un senso del passaggio della storia che gli azzimati parenti delle zone più strettamente turistiche non evocano minimamente. 



Con un solo sguardo si avverte tutto il peso

degli anni gravare su di loro e si arriva a preferirli perché in bilico fra sopravvivenza e morte, e quindi vivissimi nella loro somma incertezza. 




La bellezza e l’incanto dell’Avana stanno qui, in quest’eterna oscillazione. E’ come se i palazzi fossero in movimento costante, con i bassorilievi e gli stucchi che fecero la fortuna di molti artigiani italiani nelle varie epoche in perenne mutazione e disfacimento.


I vecchi portoni riparati alla meno peggio, le parti pericolanti puntellate con poche travi di fortuna, gigantesche trecce scapigliate di fili elettrici che corrono lungo le pareti delle scale e negli atri, dove restano poche mattonelle di maioliche pregiate sbrecciate da milioni di passaggi. 

Dopotutto i palazzi sono animati come gli uomini o almeno brillano di luce da noi riflessa, vivono delle nostre speranze e invecchiano come le persone, e come queste sono destinati alla disgregazione e alla morte. E sulle loro ceneri ne sorgono altri. Qui l’unica speranza è che durino lo spazio di una vita umana, evitando che ti crollino addosso!
Qualcuno ha detto che le città non sono state create dall’uomo. E' tutto vero e l’Avana ne è la prova. Le città hanno creato e continuano a modellare l’uomo.

La storia di questi quartieri la leggi nei volti delle persone che li popolano e nell’architettura fatiscente, non nelle placche d’ottone che indicano al turista a quale nobile o maggiorente locale era appartenuto questo o quell’altro palazzotto. 




La conoscenza non richiede guide addestrate e compiacenti, basta vagare con il naso all’insù fra le vie più strette per capire che chi decorava la facciata con motivi irripetibili lo faceva per competere con i vicini, e dato che la mano d’opera costava cifre irrisorie, si commissionavano opere di abbellimento che andavano ben più in la della ragione.



In alcuni di questi splendidi palazzi oggi abitano i veri poveri dell’Avana, i peggiori spiantati che tirano a campare sperando di spillare qualche dollaro al turista che scantona dalle rotte tradizionali e passeggia per le stradine ai bordi della Disneyland.

Magari si puo’ provare a cercare altre ragioni che ci fanno perdere la testa per l’Avana, quella cadente e quella rinnovata. Oltre alla duplicità di cui parla Padura Fuentes e molto altro, c’è forse anche la forza di attrazione che il disfacimento esercita sugli umani. 

La città, nonostante le voci e le grida, sembra composta e ordinata. Forse si può andare oltre e dire che ti invoglia a viaggiare a ritroso nel tempo perché la disgregazione dei suoi palazzi quasi ti obbliga ad immaginarla com’era quando l’abbandono e l’incuria non avevano il sopravvento. 
La parte restaurata è malinconica, mentre quella che crolla ti costringe a pensare come realmente era l’Avana del tempo. 
E come succede con l’amore per una donna, sognarla o immaginarla pungola e sostenta il desiderio. Rappresentarla e vederla in sogno la circonda di un cerchio di luce fatato che ce la fa desiderare ancora di più. Lo stesso succede con l’Avana quando la si immagina nel passato.






C’è poi un altro elemento che rende la città ulteriormente attraente. Una intera fetta della sua storia è quasi negata dal governo. Tutte le immagini filmate del periodo prima dell’avvento della rivoluzione vengono centellinate dai mezzi di informazione ufficiali per ovvie ragioni. Come se si avesse paura di mostrare l’Avana di allora alle nuove generazioni. 




Quindi, spazio alla inventiva che spesso altera i contorni. Ricerca convulsa di fonti di notizia non ufficiali su come fosse la vita a quel tempo. Resta la letteratura e i racconti dei sopravvissuti. Così tutto assume contorni indistinti e si nutrono le leggende con successiva e ulteriore idealizzazione. 




Di nuovo, un po’ come con le donne che vorresti tue e non lo sono e che condanni a benevola e mitizzante trasfigurazione. D’altra parte, la città nella cultura popolare e nella letteratura è quasi sempre paragonata ad una musa ispiratrice che sfugge ad ogni catalogazione.

Anche il governo quasi ti costringe ad amare in modo incondizionato e senza ombre di tradimenti la capitale di tutti i cubani. Te lo impone sin da bambino, a scuola con l’indottrinamento e poi assillandoti con la sua unicità e bellezza. Le altre città sembrano non poter reggere il confronto perché tutto ruota attorno all’Avana. Il resto del mondo si cita solo per annotarne gli sconquassi.

Non puoi non adorare l’Avana se sei cubano, e non puoi non esserne fiero. 
Io che riesco ad avere il più minimo moto di orgoglio solo se penso alla mia appartenenza europea, mi trovo almeno un po’ spiazzato di fronte a tanto slancio campanilistico.
L’Avana è la città par excellance, poi viene il resto. E i cubani la riveriscono come una sposa che si amerà per tutta la vita. Nonostante la loro vocazione licenziosa, mai la tradirebbero. Forse è questo l’unico caso di dedizione coniugale dell’intera nazione.