sabato 21 ottobre 2017

I CUBANI E LE ARCHITETTURE DELLA NECESSITA'



"La Habana está adentro y fuera del tiempo a la vez"
L.Padura

"Allá la gente paga una cantidad de dinero para que las cosas parezcan viejas. Y mira aquí, este es un paraíso."
Lester Hamlet 




La capacità di arrangiarsi del popolo cubano fa impallidire persino i napoletani. Compressi da uno stato onnipresente e tentacolare, ma da questo anche aiutati, i cubani, con mille espedienti, riescono il più delle volte a mettere insieme pranzo e cena.
Ancora più straordinaria è la loro capacità di dare soffio vitale agli oggetti d’uso comune che hanno a disposizione, di farli vivere il più a lungo possibile. Tutto ciò li mantiene in parte al riparo dall'ansia di consumo che caratterizza ogni passo della nostra vita nel mondo sviluppato, anche se, negli ultimi tempi, perfino qui a Cuba le cose stanno un po' cambiando.

Ho sentito parlare di non so quale ormone che euforizza gli "shoppers" occidentali oltre ogni misura. 
Qui ho imparato a portarmi a casa i resti di una cena al ristorante. 
Con un po' di vergogna, all'inizio, dicevo di impiegarli per sfamare il cane che mi aspettava a casa. Potrei imporre un netto rifiuto a mia moglie ma non ho speranza perché si tratterebbe di un gesto inspiegabile. 




I sacchetti di plastica che ormai si trovano in ogni luogo si conservano, e dopo averli lavati e stesi al sole ad asciugare si reimpiegano.
 Anche i pannolini per bambini per incanto cessano di essere monouso. 




Tutti i tipi di contenitori usati come vuoti a perdere sono riciclati per gli impieghi più disparati. L'idea di pieno utilizzo di ciò che si consuma è, come ormai a molti piace dire, nel DNA di questa gente.


Riparatore accendini monouso

Giocattoli ricavati da vuoti a perdere

Gli accendini usa-e-getta, per esempio, sono ricaricati praticando dei piccoli fori impiegati per iniettarvi il gas. Questi vengono poi ricoperti di piombo o altri metalli. Alla fine, l'accendino, borchiato fino all'inverosimile, è
insomma gettato via. 
Gli strumenti di lavoro più comuni nel settore sono le pinze da chirurgo e le bombolette spray insetticida, abilmente riciclate per la ricarica del gas. 
La provenienza di quest'ultimo è ancora oggetto di indagine, al pari delle pietrine focaie.




I tappezzieri che producono divani e poltrone, se non trovano i chiodini per fissare la stoffa si rivolgono all'impresa, rigorosamente statale, che tappezza le casse da morto e corrompendo il magazziniere ottengono sottobanco ciò che gli serve per completare il proprio lavoro. 
Il funerale, fra gli altri, è un servizio offerto gratis dallo Stato a tutti i cittadini, fiori compresi.
Un modo come un altro per ricordare al defunto, ai congiunti e agli amici che lo accompagnano che lo Stato è presente fino all'ultimo istante, nel bene e nel male, con palmare evidenza. 
Al posto delle molle, nei divani e nelle poltrone si montano dei listelli di gomma ricavati da vecchi pneumatici ripuliti dei fili d'acciaio che ne rendono più solida la carcassa. Un lavoro massacrante che si fa a mani nude. Il risultato sono dei calli di dimensioni omeriche. 
I riparatori di materassi, nuova classe emergente fra i lavoratori in proprio, sono presenti e attivissimi in ogni isolato. Perfino con servizio a domicilio. 


Riparatori di materassi a domicilio 


C'è poi  il riciclaggio di bottiglie e lattine di Coca-Cola. La bevanda s’importa dal Messico per ovvie ragioni d’embargo. Le bottiglie da 33cl. sono segate appena sotto il collo, e ciò che resta è un bicchiere di foggia ricercatissima. 



A parte la questione estetica, quello che conta è che si tratta del peggiore oltraggio allo strapotere commerciale degli Stati Uniti. Il loro simbolo segato e ridotto a bicchiere da impiegare per innumerevoli sbornie di rum. L'idea di usare le bottiglie di Coca-Cola per aggirare l'embargo, rifornendosi così di bicchieri alle spalle degli statunitensi, ha un sapore speciale. E' una sorta di sintesi ideale dell’attuale contingenza geo-politica. 
Con le lattine si fanno anche giocattoli, posacenere e perfino souvenir.





Souvenir, giocattoli e posacenere ricavati da lattine varie


Anni fa ho visto una vela da windsurf rattoppata con lastre da radiografia. Non sto scherzando! La tasca e due terzi dei ferzi erano di una vecchissima vela, il resto, lastre radiografiche recuperate in un ospedale e tenute insieme con dei gancetti di metallo. E l'ho vista viaggiare per mare su di una tavola che non so come sia stata fabbricata, né con che materiali, ma galleggiava nonostante pesasse come un macigno.

Qui tutto è così. Gli oggetti acquistano spirito e respiro sia perché spesso hanno in media più di 60 anni di vita - ciò che si produceva in quel periodo era fatto per durare - e sono puntualmente riparati con eccellenti risultati,  ma anche perché dopo tanti anni d’impiego diventano un’appendice, quasi una parte integrante del proprio corpo. 


Pentola a pressione con sistema di bloccaggio di fortuna
Riparatrice di ombrelli


Ventilatore d'antan


E quando anche gli oggetti e gli utensili muoiono - lo Stato per quest’ultimi non assicura funerali! - muore una parte di te. 

Allora s’inventa. Si prendono parti d’oggetti che hanno originariamente diversa destinazione d'uso e ci s’industria per costruire ciò che serve. A quel punto si scatena la fantasia.


Antenne TV ricavate da vassoio mensa
Scaldacqua d'ingegno

Docce di fortuna

Forno per pizze ricavato da barile di petrolio

Sedia a dondolo multiuso

Giostra "criolla" 

Senza parole


Lasciamo da canto le vecchie automobili americane divenute ormai epitome delle virtù del cubano nell'arte di mantenere in vita, oltre ogni mistero della fisiologia, oggetti che ovunque si sarebbero estinti da tempo. 





Bicitaxi
Fiat 126 Convertible
Lambretta da trasporto custom made

Parliamo adesso di automezzi che assomigliano a figure mitologiche. Al confronto un ircocervo o un ippogrifo sembrano cani da salotto.




Biciclette spinte da improbabili motori a scoppio creati saldando tra loro parti che hanno le provenienze più impensate. Perfino pezzi di piccole turbine per pompare acqua o di motori usati negli impianti d’aria condizionata. 
Alcune sembrano oggetti del set di un film distopico in ambiente post-olocausto nucleare.
I serbatoi sono di solito bottiglie di plastica invariabilmente consumate dalla benzina contenuta all’interno e prontamente sostituite. Ho visto un tubo di scappamento ricavato da una branda da ospedale. 



Le chiamano “Frankenstein” o “Riquimbili” e riescono a percorrere più di 100 km. con un litro. Un mio vicino ne possedeva un esemplare il cui motore è stato assemblato usando pezzi di un carro armato sovietico in disuso! Ce n'è per tutti i gusti.



Noi occidentali siamo ormai smarriti di fronte alle sirene del consumo furioso che pare a volte molto più massificante di ogni dittatura latinoamericana. 
La televisione, i vestiti, le macchine, le scarpe, le cravatte, i motorini, le manie, i tic, le vacanze, le letture, perfino i sogni e le aspirazioni, tutto tristemente uguale.
Ancora più triste è la creazione di bisogni anche quando non esiste reale bisogno. 

Le forme degli oggetti sono importanti quanto un buon tramonto o un bel paesaggio per farci sentir più in concordanza con il mondo. 
Se poi gli oggetti che ci circondano sono in gran parte carichi di storia perché hanno accompagnato chi li possiede per tanti anni, forse ci faranno addirittura sentire meglio. 

A Cuba, per cause di forza maggiore, gli oggetti e gli strumenti d’impiego giornaliero sono spesso gli stessi da più di mezzo secolo.
E l’amore e l’affetto con cui si usano e si maneggiano è generato dalla consuetudine - c’e un famoso bolero che recita che “la costumbre es más fuerte que el amor” -  ma anche e soprattutto dalla consapevolezza che quando la loro vita terminerà, sarà più difficile anche la vita di chi per così tanti anni li ha usati, perchè sarà altrettanto difficile poterli sostituire ricomprandoli.





Tutti sappiamo quanto sia coinvolgente rovistare in una soffitta alla ricerca di qualcosa che possa innescare la nostra fantasia, far riesplodere i ricordi intorpiditi creando la tanto agognata brezza. 




A Cuba c'è ancora gente che pranza e cena negli stessi piatti, usando gli stessi bicchieri e le stesse posate che si trovavano sulle loro tavole, magari sin da quando erano bambini. E questo vale per la gran parte degli utensili, degli addobbi, del mobilio e del resto. 
E' come se una intera generazione abbia trascorso parte della propria esistenza in una gigantesca soffitta. 


Una condizione non certo di privilegio per un popolo che non ha mai conosciuto le agiatezze del mondo occidentale - spero non ne conosca mai i parossismi - ma a volte affannosamente inseguita anche da molte donne e uomini del primo mondo, sommamente stanchi dell’assenza della benché minima bava d’aria che agiti un po’ le acque.
In barba ad ogni trito luogo comune, pare che anche questo, oltre a mille altre ragioni, contribuisca al famoso "Mal di Cuba". 















sabato 2 settembre 2017

LE VACCHE SACRE CUBANE E INDIANE

Sempre alla ricerca di irrealizzabili assonanze culturali, può succedere d’imbattersi nei più insoliti punti di contatto fra civiltà in apparenza a distanze siderali una dall’altra. 
Molti studiosi, con immani sforzi, nel corso dei secoli hanno provato a trovare un anello di congiunzione fra la spiritualissima India e la più frivola Cuba. 
Dopo anni di impegno siamo riusciti a risolvere la difficile equazione. 


Ebbene, la chiave di tutto ci viene fornita dall’inviolabilità delle vacche. 
Le ragioni che però spingono le due culture a decretarne la sacralità assoluta non sono sovrapponibili né in alcun modo intercambiabili. Ciò che ad ogni buon conto dà la misura dell’equazione è il risultato finale. Non importa il percorso, basta raggiungere lo scopo.

Infatti, sia in India che a Cuba, le vacche sono sacre. 


A seconda del paese, variano le pene in cui possono incorrere gli “assassini” – in entrambe i casi sono proibiti gli abbattimenti programmati – ma mentre in India le ragioni che muovono la popolazione al rispetto dei ruminanti riguardano la stretta osservanza religiosa, la zoolatria e la dottrina induista, nella laica Cuba si è costretti a confrontarsi con motivazioni ben distanti dal fervore votivo che anima i quasi antipodici colleghi (verificare gli antipodi...). 

E’ ovvio che gli indiani induisti meritino la nostra più grande ammirazione perché, nonostante la persistente mancanza di carne, non si azzardano, almeno secondo le cronache che ci giungono, neanche a pensare di lanciarsi all’assalto delle macilente vacche che affollano le loro città e campagne nel tentativo di placare i morsi della fame

Non credo sia la desuetudine alla carne bovina che li sconsiglia dall’avventarvisi contro. 
I cubani affamati, in passato, si sono mangiati tutti i gatti dell’Avana e appartengono alla razza umana, così come gli indiani.   

Hanno forse gli indiani più controllo sulla secrezione dei propri succhi gastrici grazie alla loro indubbia capacità di arginare gli istinti? 
O il richiamo della spiritualità è più forte d’ogni spasmo intestinale indotto da stomaci svuotati di cibo ma pieni di precetti religiosi che costituiscono efficace e riempitivo succedaneo della carne di manzo?  

In ogni caso va a loro tutta la nostra incondizionata ammirazione per essere da sempre riusciti a resistere alle tentazioni della carne nei suoi molteplici tagli. A onor del vero non si conosce l’entità delle pene detentive, se mai ve ne fossero, che gli indiani devono espiare nel caso di abbattimento di una vacca.

Anche i cubani devono però essere oggetto di apprezzamento scevro da ogni riserva se pur di mettere nel proprio stomaco una succosa lombata non vanno tanto per il sottile, e in assenza di condizionamenti religiosi sono disposti a passare fino a 15 anni in galera. 
Questa è infatti la pena che un pubblico ministero più o meno clemente richiede per un imputato di abigeato e conseguente abbattimento di un capo di bestiame. 

Istintivamente ci si chiede come mai a Cuba, se si fa fuori un essere umano, si paghi con meno anni di privazione della libertà rispetto ai casi di “assassinio” di una vacca. 
Nella giurisprudenza locale, il reato di soppressione del ruminante e la relativa pena, si arriva a pensare non ben commisurata, diventano persino un metro di paragone.
Tant’è che quando si vuole sottolineare con una battuta l’idea che per un dato reato la pena imposta è di proporzioni esagerate, si usa dire: “Non avrà per caso ammazzato una vacca?”


Perché quindi tanto accanimento contro chi uccide un semplice bovino? 
L’inviolabilità delle vacche a Cuba si può storicamente rintracciare nei primi anni '90. In quel periodo la popolazione è stata sottoposta, ovviamente controvoglia, ad uno strettissimo regime che prevedeva la quasi totale assenza di proteine animali per intuibili ragioni di contingenza economica. Infatti, a causa della caduta del muro di Berlino e del precipitoso ritiro dei sussidi economici da parte dell’Unione Sovietica, la scarsità di alimenti si fece sempre più pressante. 

A quel punto le vacche divennero il bersaglio preferito di molti cubani che cercavano in ogni maniera di integrare la loro parca dieta con proteine d’ogni provenienza. 
Il risultato più immediato fu il loro pressoché totale sterminio. Tale situazione spinse le autorità ad adottare misure drastiche per arginare un fenomeno che aveva assunto proporzioni gigantesche. 

I cubani, come essi stessi ammettono, non hanno limiti, e in alcune situazioni è necessario adottare rimedi per noi impensabili per evitare il peggio. 
Vennero quindi varate norme straordinarie che prevedevano pene, nel caso di uccisione di bovini, che superavano quelle riservate ai comuni assassini. Inoltre, all’inizio degli anni novanta, era necessario assicurare un’adeguata scorta di carne di manzo ai turisti che cominciavano ad affollare le spiagge cubane. 



La loro presenza sul suolo patrio era l’unica garanzia di sopravvivenza per la traballante economia della repubblica cubana. 
Divenne quindi imperativo evitare la totale scomparsa dei preziosi animali che fornivano carne pregiata da servire nei ricchi buffet offerti agli altrettanto affamati turisti.                                          

Oltre alla già celebrata equazione sulla venerabilità delle vacche, nei due paesi in questione, esiste un altro punto di congiunzione fra quelle che popolano Cuba e il subcontinente indiano: la assoluta libertà di cui entrambe godono nei loro spostamenti sul territorio. 



In gran parte dell'India le vacche sacre circolano indisturbate, si trovano all'incirca ovunque e in molti casi, nelle grandi città, arrivano a rendersi responsabili di paurosi ingorghi di traffico. 



Pare anche che il 30% di tutte loro al mondo risieda proprio in India e che nonostante questo e la loro sacralità, il paese ne sia il maggiore esportatore sulla terra. 
Misteri bovini. 

A Cuba, invece, ad un mio amico è capitato di rischiare di morire vittima di un incidente aereo per colpa di una mandria di vacche che, avendo sconfinato dagli abituali territori di pascolo, si sono avventurate sulla pista di un aeroporto dell’interno dell’isola, costringendo il pilota a effettuare un pericolosissimo “pull out” (rapida manovra in fase d’atterraggio per riguadagnare altitudine) per evitare una carneficina. 
Non oso immaginare quanti secoli di galera avrebbe chiesto la pubblica accusa per un simile caso di genocidio. 

Io avrei certamente rischiato una condanna più mite se alcuni anni fa avessi fatto fuori un'unica mucca che procedeva contromano in autostrada e mi si è parata di fronte mentre correvo a 120 km. orari. Fortunatamente sono riuscito ad evitarla. 
Spero che in casi simili si applichino tutte le attenuanti possibili. 



In ogni modo, in assenza di certezze, è sempre meglio evitare brutte sorprese mantenendosi alla larga dai famigerati cornuti.



venerdì 28 luglio 2017

LE MOLTEPLICI FUNZIONI DEL PRESERVATIVO A CUBA

Il preservativo può diventare un utile mezzo per comprendere a fondo la cosidetta "idiosincrasia" del cubano. Tanto a che vedere con l'inesausta sete di rapporti sessuali, ma anche utensile impiegato per le più impensabili attività. Come si dice quì, "instrumento multiproposito".
    
Tutti sappiamo della prostituzione a Cuba. L'hanno descritta in ogni possibile variante, dentro e fuori dall'isola. E con tutti i turisti che arrivano qui col portafogli zeppo di banconote e tanta voglia di sesso si può ben immaginare che sorta di bomba ad orologeria si sia innescata nel paese. Molti avevano addirittura scommesso che i cubani si sarebbero estinti.


Eppure, nonostante il massiccio afflusso di turisti sessuali che continua ininterrotto dai primi anni ’90, il tasso d’incidenza dell’AIDS a Cuba è ancora molto basso, tanto da non preoccupare l’OMS più del necessario quando stila le proprie tabelle comparative su scala mondiale.
Come è mai possibile? E' merito dell’assoluta laicità dello Stato cubano. L’assenza di stupidi condizionamenti di origine religiosa ha consentito ad uno stato libero da ricatti e vincoli “morali” di iniziare per tempo una campagna di prevenzione la cui forza mi ha ricordato quella organizzata dai britannici nei primi anni ’80  - in quell’epoca vivevo in Inghilterra e sui giornali, televisioni e mezzi d’informazione d’ogni genere il bombardamento era assordante e senza ipocrisie linguistiche di sorta.

Se penso che in Italia la chiesa cattolica ha, di fatto, impedito alla televisione di stato di pronunziare la parola preservativo per anni, mentre molti giovani morivano per mancanza d’informazione, mi viene voglia di accusarla di genocidio. Ma tant'è. 

In ogni caso va sottolineato che a Cuba la corrività sessuale non è soltanto risultato del mercimonio. E' una pratica che trasversalmente occupa tutti, anche le classi sociali più insospettabili.
Si ondeggia infatti in modo rischioso tra morale rivoluzionaria che ricorda il rigore d’intenti staliniano e il totale abbandono ai sensi tipico della cultura caraibico-africana.
Se di giorno, durante le ore di lavoro, ci si comporta come il più inappuntabile dei travet, celebrando al meglio tutte le liturgie della Revolución, unico rifugio etico e morale dell’uomo nuovo, di notte ci si trasforma in vampiri tropicali assetati di rum, sesso, danze sfrenate e avventura.

E’ questa l’unicità del comunismo in salsa caraibica di cui si è tanto parlato. 
Di giorno marxisti-leninisti o per meglio dire, dopo la caduta del Muro, rivoluzionari. Di notte libertini engagé.
Pedro Juan Gutierrez dice qualcosa che illumina e spiega in modo inequivocabile tutta la materia: “Sesso come dimostrazione e prova d’amore, ma anche vissuto come un semplice gesto d’affetto, come si farebbe una carezza, sobriamente e senza ostacoli”.

In tali circostanze e con simili inclinazioni si possono facilmente comprendere le ragioni per cui il preservativo ricopra un ruolo cardine nell'isola. 
Il più ovvio però non è l'unico. 
Infatti, ci sono altri impieghi, tra i più assortiti e inaspettati. 

Per iniziare va detto che il preservativo è genere di consumo il cui prezzo è politico. Questo viene stabilito dallo Stato e definirlo irrisorio sarebbe un affronto. Chi non ha sognato di caricarne interi container da esportare nel nostro Occidente ricco, rivendendo la merce ai prezzi correnti? Meglio lasciar perdere.
Ricordo che nei primi anni '90 l'isola era invasa da preservativi cinesi. Molto probabilmente si trattava dell'articolo più a buon mercato che lo Stato potesse trovare sul mercato internazionale. L'unico inconveniente, in aggiunta alla pessima qualità delle gomme e del lubrificante, era la taglia degli stessi. Abbiamo quindi scoperto che i cinesi, oltre ad avere un pene di dimensioni ridotte, sono anche degli stoici al momento di indossare il profilattico. 
Dopo rimostranze e lamentele, i vertici, comprendendo l'importanza della materia, misero finalmente fuori commercio i preservativi cinesi.  

Adesso, grazie a Dio, abbondano quelli di importazione argentina. Nessuno si è mai più lamentato.

Come già detto, oltre all'uso più comune che si possa immaginare, altri danno la misura della capacità inventiva ed estro del cubano.
Quando si organizza una festa di compleanno, in assenza di palloncini, la presenza di preservativi gonfiati a pieni polmoni è d'obbligo. Faranno la gioia dei bambini che a fine serata potranno farli esplodere.
Allo stadio, durante le partite di baseball, sulle teste del pubblico c'è un perenne turbinio di preservativi rigonfi, presi a schiaffi e fatti rimbalzare lontano fra strepiti di felicità.
C'è perfino chi li usa come fascette per banconote o come elastico per raccogliere i capelli sulla nuca. 

All'Avana il pesce fresco ha un buon mercato, soprattutto dopo la totale liberalizzazione dei ristoranti. Prima si pescava solo per integrare la magra dieta con delle proteine animali. Adesso il prezzo che si può imporre per un dentice o un piccolo tonno invoglia a tentarne la cattura con ogni mezzo.



Il pesce di buona stazza e qualità si trova però a qualche centinaia di metri dal muro del Malecón e i proprietari di piccole barche da pesca sono una infima minoranza. Sono gli unici a poter pescare senza problemi in quelle zone.
Molti si sono perciò industriati con delle camere d'aria di copertoni di camion. Le usano come grandi salvagenti, e nel buco centrale alloggiano il culo, lasciando penzolare fuori le gambe armate di rudimentali pinne da sub. Così si prende il largo di notte. Non tutti sono però disposti a passare la notte a mollo.



Qualcuno ha pensato a lungo fino a trovare una soluzione che consentisse di pescare lontano dalla costa senza camere d'aria e barche.



Sul Malecón dell'Avana di notte scende una brezza che tira da terra verso il mare aperto. E' bastato assicurare in più punti della lenza dei preservativi gonfiati e disposti a grappolo. Facendo contrasto al vento come delle vere e proprie vele, trascinano al largo la lenza con amo ed esca a mezz'acqua e in bella mostra.
Lo stratagemma, mai brevettato, è stato subito adottato da tutti gli altri pescatori.



All'imbrunire, la loro vista mentre armeggiano con i preservativi è diventata ormai un'attrazione.


I turisti che passeggiano sul marciapiede del Malecón dell'Avana si avvicinano incuriositi. Si sentono rassicurati solo quando comprendono appieno la funzione cui l'ammasso di profilattici assolverà e ridendo, compiaciuti si allontanano.



Le guide turistiche più fantasiose, viste le loro reazioni, hanno a questo punto incluso una sosta nella zona all'interno degli abituali percorsi culturali. 

Orestes Estévez, 65 anni, ex-militare ormai in pensione, grazie al più promiscuo impiego dei preservativi che mente umana possa immaginare, è riuscito a cavare del reddito da una inusitata attività che ha ormai del leggendario. 
A Cuba non esiste la vite da vino per ovvie ragioni climatiche. Il vino importato, sopratutto dal Cile, ha prezzi proibitivi per le tasche del cubano medio. 

Malgrado ciò, quello prodotto con frutta tropicale fermentata ha una salda tradizione. I metodi per raggiungere la lievitazione richiedono strumenti che nell'isola ormai da tempo non si  trovano. 
Orestes ha quindi sperimentato un sistema che gli consente di modulare e controllare il grado di fermentazione in modo efficiente e sicuro usando dei preservativi.

Dopo aver comprato papaya, mango o altri prodotti locali, lascia macerare la frutta, poi la miscela con lievito e zucchero e fa riposare il composto da travasare all'interno di bottiglioni già lavati e bolliti. A questo punto entrano in ballo i preservativi che vengono calzati sul collo dei recipienti. I gas interni procurano un immediato innalzamento che rischia di causare lo stappamento. Orestes argina il fenomeno praticando un paio di forellini sulla cappella del preservativo così da far defluire l'eccesso di gas. 



Quando la fermentazione si è ultimata, come per incanto arriva l'afflosciamento che indica in modo incontrovertibile la fine del processo. 



Come ogni buon cubano che mai dimenticherebbe l'uso primario del preservativo, con arguta metafora, l'uomo testualmente dice: 
Cuando usted le pone un preservativo a un botellón es igual que con un hombre, se para; y cuando el vino está, a eso no hay quien lo levante”.

Un litro del vino di Orestes costa circa mezzo dollaro. Per quello importato ne servono otto. Per questo l'ex militare in pensione si è trasformato in imprenditore che conta di espandere la propria attività. Per il momento diversifica la produzione e ha perfino iniziato a produrre vino di zenzero e barbabietole. 


https://www.youtube.com/watch?v=DhQw-_Z20D4 (tutti gli impieghi nel video)