giovedì 9 ottobre 2014

CUBA, DON JOSE MARTI E I SUOI DUE CONTINENTI



"The essential American soul is hard, isolate, stoic and a killer. It has never yet melted."
D.H. Lawrence

"Per imparare veramente ad odiare gli americani bisogna aver vissuto in America Latina"

Anonimo

Se penso agli americani che un giorno scorazzeranno per l'Avana, magari facendo la pipì sulla testa di una statua di José Martì (è già successo circa settanta anni fa), sento un’enorme tristezza. Immagino i tentativi maldestri di radere al suolo l’intera cultura nazionale cubana e arrivo a dire che Fidel Castro è il miglior uomo politico che sia esistito in America per la semplice ragione che ha resistito ai governi americani e alle loro ridicole dottrine per oltre cinquant'anni. 

Molti ancora non si spiegano perché quando Castro andava in giro per l’America Latina, Africa o altrove, trovava sempre migliaia di persone ad acclamarlo. Semplicemente perché lo stomaco delle popolazioni del terzo mondo non reggeva più l'impatto delle cosiddette “politiche regionali nordamericane”. 
Dopo centinaia di migliaia di morti sacrificati per le tasche di pochi, Castro era una speranza.


Per amor di precisione va detto che chi pisciò sulla testa della statua di Josè Martì fu un gruppo di marines americani appena sbarcati da una nave militare e subito corsi alla ricerca di puttane e birra. 
Credo successe a metà anni cinquanta, quando i marinai americani costituivano la principale fonte di reddito per i poveri dell’Avana Vecchia e dintorni. L'oltraggio ai danni dell'eroe nazionale e dell'intera cittadinanza fu giustamente amplificato dai mezzi d'informazione, e i militari furono prontamente puniti, e i loro superiori costretti a scusarsi con ricco corredo di note ufficiali e atti di contrizione pubblici.



Periodiche docce di liquido organico da parte del vicino del Nord sembrano quindi essere condanna e pena da espiare per l'America più povera. 
E Cuba è inevitabilmente il primo bersaglio, perché la Florida, che i francesi chiamavano “le pisseur d’Amerique”, idealmente rappresenta la minchia (non trovo nulla di meglio) degli Stati Uniti, ed è orientata inesorabilmente verso l’Avana. 
Forse, senza rendersene conto, i marines dell’epoca non fecero altro che prolungare e riprodurre su scala geografica ridotta un rito, quello dei potenti del Nord che pisciano sui più poveri del Sud, che prosegue ormai da secoli e caratterizza anche i rapporti fra Cuba e Stati Uniti.

A proposito ancora della curiosa analogia geo-morfologica che intercorre tra la Florida e la minchia, si potrebbe adottare definitivamente l'epiteto “America Latrina” che Cabrera Infante amaramente riservava al continente sudamericano, giusto per rafforzare il nesso di sudditanza che esiste fra i due blocchi geografici.  
Se si scruta poi con attenzione la carta geografica della Florida, si vede chiaramente che i Cayos, gli isolotti a sud della penisola, rappresentano gocce di liquido che scorrono in evidente assenza di controllo prostatico, divenuto un sogno impossibile per l'(in)continente Nord America.
                                                               
E’ necessario anche dire che il Nord America ha una sua omogeneità dal punto di vista culturale. Il Sud America è solo un gruppo di nazioni, ospitate da un continente-contenitore, che hanno ben poco in comune, forse anche culturalmente, fatta salva la lingua che in qualche modo le accomuna. 

C'e’ poi l’ovvia eccezione del Brasile dove si parla Portoghese-Brasiliano, che Fernando Pessoa definì in maniera felicissima Spagnolo-Disossato, e di alcune isole delle piccole Antille, il Belize (ex Honduras britannico) ed Haiti dove sopravvivono francese, olandese e inglese, a parte le lingue native ancora vive. 
Ma oltre il Brasile, questi ultimi paesi, come poi vedremo, otterranno una collocazione diversa. Per il resto non hanno molto da spartire, per esempio, Cuba e Cile oppure le Antille Olandesi e il Peru’. 

Si potrebbe facilmente obiettare che neanche le nazioni europee, almeno in alcuni casi, hanno troppo in comune. Quella però è una storia molto più lunga e complicata e pochi sono in grado di stabilire quando è iniziata.
Si può allora aggiungere che gli americani del Nord sfiorano il grottesco quando, forse per mantenere a distanza il sud povero, si prendono l'impiccio di concedere lo status di continente a quella parte di terra che sta a sud di Panama. 

Cuba, quindi, secondo i vicini americani, almeno geograficamente, farebbe finora parte del continente nord. Per gli europei non anglosassoni esistono solo cinque continenti, mentre per americani del Nord, inglesi e per il mondo che ha orbitato nei secoli passati nella sfera d’influenza britannica ne esistono ben sei.
Infatti, ciò che noi chiamiamo America, secondo loro va diviso in due distinti continenti. 
Alcune scuole di pensiero tendono a considerare anche l'Antartide un continente. A parte l’inclemenza del clima e la poca affinità che quella fetta di mondo mostra con le più incandescenti realtà caraibiche, sarei tentato di limitare la riflessione ai succitati sei blocchi geografici.  
Anche secondo l'atlante dell'Encyclopedia Britannica, l'indiscussa bibbia del laico, Cuba, dal punto di vista geografico, è parte integrante del Nord, insieme alle piccole Antille e tutto ciò che esiste a nord del Canale di Panama. Il resto è America del Sud o più esattamente South American Continent.

Ancora una volta non vorrei indurre nessuno a pensare che tale inclusione, seppur limitata all'atlante geografico, prefiguri un malaccorto intento di fagocitare e quindi includere l'isola di Cuba anche nell'atlante politico. Fatto sta che proprio in quelle aree che l'Encyclopedia Britannica considera come parte del continente nord, la presenza aggressiva dei nordamericani nel corso del secolo scorso si è avvertita in maniera costante. 


  
                                                                                                                            

Anche i messicani, che guarda caso si trovano ad essere inclusi nel novero delle nazioni che geograficamente fanno parte del continente nord, avrebbero tutte le ragioni per lamentarsi del comportamento arrogante dei vicini nordamericani. 
Il Messico, infatti, non esiste! Esistono gli Stati Uniti del Messico. 
E' in realtà questa l’esatta dicitura adottata sin dai tempi della rivoluzione messicana. Ma il poderoso vicino si è da sempre appropriato dell'esclusiva assoluta e planetaria del titolo di Stati Uniti par excellance, ai poveri del sud non resta altro che cambiare il nome della propria nazione adottando la più semplice formula México. 

Magari, con il passare degli anni, e in verità ne mancano pochi, quando gli anglosassoni negli Stati Uniti d'America saranno netta minoranza, sopraffatti numericamente dalla presenza dei vicini del Sud, la storia opererà una delle sue solite impietose nemesi e la comunità definita “latina” deciderà, con maggioranza questa volta ben qualificata, di ribattezzare l’intero continente nord “Stati Uniti Messicani e Latini”. 
Si potranno cosi vendicare tanti anni di usurpazione di un nome che non poté mai essere completamente esibito, se non nei documenti ufficiali e ad uso interno. 

                                                                                             


Josè Martì quando parlava dell'America Latina la chiamava “Nuestra America”. Questa definizione è più che sufficiente per comprendere le profonde differenze che esistono tra le due facce del continente e la giustificata gelosia culturale con cui ancora oggi si tenta di preservare le radici culturali della parte sud.                                                                                          
Gli anglosassoni rispettano ed ammirano enormemente le altre culture ma mantengono costante quell'alterigia nazionalista venata di dileggio nei confronti dei costumi degli stranieri tipica delle loro classi dirigenti. 
Fra i grandi popoli colonizzatori sono forse stati i meno peggio e hanno a volte lasciato in piedi, nei luoghi che hanno abbandonato, una parvenza d’ordine e di organizzazione civile. 
Nessuno intende giustificare i massacri, gli abusi e le guerre folli che hanno seminato in giro per il mondo. Per non parlare dello sradicamento di intere culture locali. I governi americani hanno invece semplicemente preso a prestito l'intelaiatura di questa dottrina di colonizzazione mondiale, e avendola ripulita di tutti gli orpelli giudicati d'intralcio, l'hanno sistematicamente applicata in giro per il globo sin dall'inizio del secolo scorso, con i risultati che tutti conoscono. 

C'è chi dice gli americani dovrebbero avere l'umiltà di appaltare la loro politica internazionale agli inglesi o ai francesi perché, dove hanno messo piede, hanno invariabilmente compiuto dei danni enormi. Il sud del continente americano ne sa qualcosa. 

Nei mercati rionali di molte città italiane si vendono delle tavolette di ceramica con iscrizioni di proverbi popolari. Ne ho vista una che diceva: “Niente se mi considero, molto se mi paragono”. 
Il pensiero espresso induce a riflettere sul fatto che per misurare la propria autostima è necessario compararsi, ma al tempo stesso che è troppo facile trovare qualcuno peggio di noi. 

Lasciando da canto le considerazioni soggettive, si può dire che gli Stati Uniti non hanno bisogno di paragonarsi con l'Europa per accertarsi della propria forza. 
Siamo noi europei che per riaffermare la nostra cultura abbiamo bisogno di far confronti con gli Stati Uniti. La loro forza è intrinseca e trova verifica nei propri modelli, nell'essenzialità delle idee, nella concezione di coerenza e nel turbo-individualismo.
I loro valori e idee noi li definiamo spesso primordiali. L'intransigenza e la cocciutaggine opposte al dubbio, tipico della cultura europea, che considerano un pericoloso tarlo. 

Va anche ammesso che gli Usa sono forse l'unico paese veramente indipendente di questo mondo, e anche per questa ragione tutti gli altri sentono la necessità di confrontarsi con loro per stabilire chi è meglio o peggio. Gli Usa possiedono certezze assolute che spesso si rivelano catastrofiche. 
Qualcuno ha detto che sono perfino riusciti, almeno in parte, a colonizzare il subconscio europeo. La cultura primaria americana è fortemente centripeta, quasi autoreferenziale. 
E poi bisogna ammettere che a noi europei, forse con ragione, l'America non sta tanto simpatica. Eccetto poche realtà urbane vicine all'Europa, come le grandi città delle opposte fasce costiere, noi europei consideriamo il resto del paese con una certa boria.

L'equivalente delle tavolette di ceramica italiane in Usa vedrebbe un ribaltamento totale dell'iscrizione che potrebbe leggersi così: “Tanto se mi considero, quindi neanche mi comparo”.