venerdì 29 maggio 2015

IL DIVORZIO DEI CUBANI



I cubani restano a dir poco smarriti quando cerco di spiegare che in Italia, fino a poco tempo fa, occorrevano ben tre anni per ottenere una sentenza di divorzio. Se poi aggiungo che, nei casi di mancato accordo fra i coniugi, si poteva aspettare fino a cinque anni, addirittura trasecolano e non credono alle proprie orecchie.
 Solo in poche occasioni ho avuto il coraggio di dire che fino al 1970 il divorzio in Italia era proibito, e che c’e’ voluto un referendum per ottenerlo. Lascio immaginare i loro commenti sulla nostra presunta superiorità culturale. 

I cubani sono sempre rispettosi dei costumi stranieri, ma non possono fare a meno di sganasciarsi dalle risate al pensiero che debba passare un lustro prima di liberarsi del coniuge e che, fino al 1970, l’Italia intera era costretta alla monogamia a vita, condizione intollerabile per un cubano e per una cubana che, alla eventualità di un “matrimonio-martirmonio”, preferirebbero certamente il suicidio. 
Se poi racconto che, fino al 1978, se abortivi ti mettevano in galera per 5 anni, mi prendono per matto.

Tornando a Cuba, la legislazione che regola il divorzio anche qui si è evoluta, ma nella direzione opposta. 
Per fortuna per ragioni che hanno ben poca relazione con le pressioni esercitate dalla chiesa cattolica in Italia perché si ritardasse l’acquisizione e l’esercizio di un diritto sacrosanto. Fino a qualche anno fa, nella più frivola e scomunicata delle isole dei carabi, ci si sposava e si divorziava nel giro di qualche settimana. 

Lo Stato provvido, premuroso e zelante, con il chiaro intento di invogliare la popolazione alla procreazione, nutrendo quindi con nuova linfa la “Revoluciòn”, assicurava una cospicua serie di “fringe benefits” ai novelli sposi perché questi potessero reintegrare le spese di rigore per la celebrazione del matrimonio. 

Al momento della presentazione dei documenti necessari per contrarre il vincolo, la coppia otteneva una speciale cedola che dava loro diritto a 15 casse di birra, una cassa di bottiglie di Rum, una torta e un sostanzioso sconto per l’acquisto del corredo e dei vestiti di entrambi gli sposi. 
Inoltre lo Stato forniva perfino il locale dove celebrare la cerimonia. Si tratta di uno dei palazzi più belli del centro storico, ancora adibito a sala ricevimenti. Bastava prenotare giorno e ora.





Subito dopo la caduta del muro di Berlino e il conseguente tracollo economico, i vertici politici e amministrativi dell’isola hanno visto crescere a dismisura il numero di matrimoni e divorzi. Si era infatti creato un florido mercato di “fringe benefits”, poi rivenduti alla borsa nera. Dopo aver incassati i soldi della vendita, i novelli sposi, d’accordo con i funzionari che si occupavano del disbrigo delle pratiche matrimoniali, rapidamente provvedevano a richiedere il divorzio e, grazie all’aiuto di quest’ultimi, prontamente lo ottenevano, correndo così a risposarsi per mettere le mani sul nuovo lotto di casse di birra, rum ed altro.

Si è subito corso ai ripari ponendo come limite minimo il termine di sei mesi per l’inoltro delle pratiche di divorzio!

Mentre noi, nella nostra Italia ostaggio della chiesa, riduciamo i limiti temporali per l’ottenimento del divorzio, lo stato più laico del mondo è costretto ad allungarli, e non certo per ragioni di confessione religiosa!