sabato 15 maggio 2021

IL TEMPO DELLE CODE A CUBA


Quanto dura un minuto? Dipende da quale lato della porta del bagno si è.

A. Bloch


Tutti sappiamo che la percezione del tempo e la sua misurazione, in barba a tutti gli standard comuni adottati ai quattro angoli del mondo, variano a seconda delle latitudini e delle diverse culture. 

Ci sono europei che vivono a Cuba da anni e riescono ancora ad infastidirsi se i nativi non rispettano l’orario di un appuntamento. Molti arrivano perfino a perdere il controllo se costretti ad aspettare qualche ora in coda fuori da un ufficio pubblico o per entrare in un negozio statale o in un supermercato. 

Qui perfino l’idea di spazio-tempo, la sua curvatura e la contrazione della massa, se si potessero avvertire, verrebbero messe in discussione. Eppure, in questa terra c’è la prova che il tempo è un fatto locale. 



Quando un cubano fissa un appuntamento si tiene sull’indistinto per principio consolidato. Mai si dirà ci vediamo alle 5.30, sarebbe troppo arrischiato. Si dice “a las cinco y pico”, più o meno alle cinque e cocci. E quel “pico” è variabile indipendente, denominatore inafferrabile di una idea di tempo che sfugge al vincolo numerico. E’ certo che i trasporti pubblici e privati locali non aiutano, e rendono ogni spostamento complicato e non privo di sorprese, tanto che tenersi sul vago è sempre buona regola. Ma è la natura stessa del cubano, prima di ogni causa esterna, che impone l’uso della formula del “pico” che può voler dire 5 minuti dopo le 5, 55 o tutto quello che sta in mezzo. 



Nulla è certo e riproducibile in serie da queste parti, non ultimi i comuni disbrighi burocratici che, più d’ogni altra cosa, riservano sorprese inaspettate. Perchè ipotecare il futuro quindi? Non conviene e spesso causa disillusioni che nessuno è disposto a sopportare. 

Allora è come se il cubano prendesse a prestito la tipica flemma anglosassone, rielaborata secondo i propri costumi, per poi impiegarla per galleggiare in modo rassegnato, ma non senza buonumore, in un paese in cui l’attesa in apparenza inutile delle code può diventare opportunità di socializzazione. 

Purtroppo, nell’ultimo anno, a causa del Covid, gli afflati e la messa in comunione dei corpi, che ne erano la parte più mondana, non esistono più. Spesso manca anche lo scambio di idee e informazioni sui prodotti in vendita o sui servizi richiesti. Anche la voce di qualcuno, magari imbottito di rum, pronto a inveire contro l’inefficienza, la corruzione dei funzionari, degli impiegati o di altre entità imprecisate. 



Il bello di questa santa isola lo trovi anche nelle code, dove c’è sempre qualcuno da ascoltare che racconta qualcosa che vale la pena di conoscere. In fila può pure capitare di incontrare una star della televisione o del cinema, o qualche sportivo di rango che ha perfino vinto delle medaglie alle olimpiadi. A stento vengono notati dal resto della gente perché qui l’idolatria delle nostre parti è assente e ogni attenzione si concentra sul numero di persone che hai davanti. 

Ad ogni modo le code sono ancora il vero termometro per capire la temperatura e sondare gli umori del popolo locale. 

A Cuba si sta in fila per tutto, tanto che esiste una categoria di lavoratori, i coleros, non ancora sindacalizzata perché non riconosciuta dallo stato, che si premura di rivendere i turni ai migliori acquirenti. Dopo aver passato notti all’addiaccio di fronte ad un negozio o ufficio per potere acquisire il diritto, il colero lo cede a chi non è disposto ad aspettare per ore in fila. 



Solo all’Avana si pensa siano centinaia, gente che si muove da una zona ad un’altra a seconda dei bisogni dei cittadini, che con puntualità intercetta e sfrutta a proprio vantaggio. 

Se, per esempio, si ha notizia riservata che in un supermercato il giorno seguente venderanno un lotto di televisori che vanno a ruba per prezzo e qualità, allora il colero dormirà sotto i portici o sulla panchina più vicina, e ad apertura sarà lì presente. Oltre a cedere i posti in fila, i coleros comprano in proprio per poi rivendere a prezzi maggiorati quando la merce non sarà più disponibile.



Ancora più spesso si accordano con gli impiegati dei negozi statali che nascondono certi prodotti che però il colero per incanto possiede e vende all’entrata a prezzo gonfiato. 

Li riconosci subito fuori dai supermercati. Capisci che hanno tutto sotto controllo, sembra che lievitino al di sopra della gente ed è come se avessero i cinque sensi ad efficienza moltiplicata, pronti a cogliere ogni minimo refolo, movimento umano o l’approssimarsi della polizia. Sono anche fonte di informazione imprescindibile. 

Spesso, per ovvie ragioni professionali, riescono a mandare a memoria quasi l’intero assortimento del punto vendita, inclusi prezzi e pezzi ancora invenduti. A volte in modo più accurato degli stessi impiegati che conoscono solo il proprio reparto. L’attività impone un aggiornamento costante su tutti i movimenti merce. Gli impiegati, dal canto loro, hanno pochi stimoli, e sembrano brillare solo per la svogliatezza con cui si occupano dei clienti.  

Il colero riesce anche a travestirsi per aggirare le limitazioni all’accaparramento imposte dallo stato. Quando un bene ha una forte domanda, non si può comprare più di una quantità prestabilita di unità. Allora si lascia immaginare l’esplosione della fantasia e l’inventiva fa faville. 



Ultimamente, con l’obbligo della mascherina, pare che il colero che accaparra abbia ampio margine di vantaggio rispetto ai controllori che stazionano all’entrata. 

Le uniche categorie che a Cuba passano oltre il colero sono le donne incinte, gli anziani e i disabili. Hanno la precedenza e saltano le code sempre, e può succedere che rivendano il proprio diritto a terzi in cambio di un conguaglio o di qualche prodotto. Ma non rovinano il mercato. Eppoi la proverbiale solidarietà cubana è sempre viva, e si rafforza soprattutto se si tratta di concittadini svantaggiati e di situazioni di emergenza. 




Anni fa, nel pieno del “
Periodo Especial”, ci si spostava per chilometri fino ai margini della città perché qualcuno aveva avvistato un dato prodotto in qualche supermercato fuori mano. Salvo poi restare con un palmo di naso perché questo si era esaurito o la notizia era inventata. 

Da qualche anno, coi gruppi WhatsApp è tutto più semplice e le notizie sono più affidabili. Sembrava che i coleros dovessero sparire. Ma da parecchi mesi ormai, a causa del Covid e della crisi economica, si sono ridotte le importazioni, le merci di ogni genere scarseggiano, le code si gonfiano e i coleros vanno a nozze. 

Di nuovo, quale tempo ci dirà per quanto ancora?