https://i.postimg.cc/4xwVWRZs/161126145740-fidel-castro-and-mandela.jpg Contrattempo all'Avana

sabato 13 luglio 2024

ERNESTO CHE GUEVARA E CALIXTO GARCÍA, I GENERALI CON LA STELLA IN FRONTE

Forse non tutti sanno che Ernesto Guevara è la reincarnazione di Calixto Garcia. Che Guevara è uno degli uomini più famosi al mondo. Calixto Garcia, almeno a Cuba, è altrettanto famoso. 

Il Mayor General Calixto Garcia Iñiguez fu un eroe della lotta di liberazione dagli Spagnoli che infuriò nell’isola alla fine dell’ottocento. Non esiste città cubana che non abbia almeno una strada, un ospedale o altra istituzione intitolata al gran condottiero. L’uomo è parte del mito che circonda la saga della guerra contro la Spagna imperialista. La sua valentia è oramai leggenda. 

I due combattenti per la libertà presentano un’infinita quantità di elementi comuni, tanto da indurre anche il più laico degli esseri ad abbracciare, senza dubbi residui, la teoria della reincarnazione (tardiva o ritardata) e conseguentemente la religione buddista. 

Ripercorrendo l’albero genealogico dei due eroi si aprono scenari che sconfinano in territori mai calpestati prima. Vale allora la pena di tornare alla storia.
Ernesto Guevara era figlio di Celia de la Serna e di Ernesto Guevara Lynch, mentre Calixto Garcia venne iscritto all’anagrafe dal padre Garcia de la Luna y Izquierdo e dalla madre Lucia Iniguez. 
Si narra che il nonno, omonimo del Generale, rinunciò al titolo nobiliare de la Luna y Izquierdo quando si rifugiò a Cuba dove venne incarcerato perché chiedeva l’emancipazione degli schiavi e libertà costituzionali per tutti i cittadini. 
Quando nel marzo del 1837, un prete fieramente gli si oppose, egli tentò d’impiccarlo.



Ernesto Guevara era invece oggetto di scherno da parte dei suoi amici a causa del nobile appellativo ‘de la Serna’. Alberto Granado, quando giocavano a rugby, lo chiamava Fuserna: “Fu, porque era rapido y se fugava bien y Serna del noble nombre de la madre”. Scavando ancora più in profondità, addirittura si scopre che, forse, entrambe avevano ascendenti reali. L’unica differenza è che mentre quelli del Che pare investissero i due rami dell’albero genealogico, per Calixto Garcia si limitavano al lato materno.

Celia, la madre del Che, è l'erede di una famiglia di proprietari terrieri probabilmente imparentati con i Grandi di Spagna e del Nuovo Mondo. “Ragazza ribelle, la graziosa aristocratica abbraccia la causa femminista alla fine della prima guerra mondiale. A Buenos Aires, la più europea tra le capitali dell'America Latina, è una delle prime donne a dare scandalo portando i capelli corti. Guida la macchina, firma assegni e ‘accavalla le gambe in pubblico’", precisa una delle sue cugine.

La tradizione vuole invece che Calixto Garcia Iñiguez discenda dal Re Calixto Garcia-Iñiguez attraverso la madre Lucia Iñiguez Landon. Il Re era figlio di Iñigo Arista (quindi Iñiguez), fondatore della dinastia Arista (che vuol dire quercia e significa forte in battaglia) di Pamplona. Il Re venne catturato dai Vichinghi nell’852 e poi riscattato. 
L’antico regno di Navarra inglobava allora i moderni département francesi dei Basses-Pyrénées. La città di Pamplona, capitale odierna dello stato di Navarra, venne occupata dai musulmani dopo il 711, ma i capi Baschi della zona presto ottennero l’autonomia e nel 798 il nostro Iñigo Arista si auto-proclamò amministratore unico di quelle terre, accettando la parziale sovranità francese. 
Dopo poco, la dinastia era talmente potente da convincerlo a proclamarsi Re.

L’elemento che però avvicina e incorpora ulteriormente le due figure storiche riguarda ancora il territorio di Navarra. Il nome Guevara è, secondo molti etimologi, di chiara origine basca. Proviene da un luogo che si chiama appunto Guevara e si trova nella provincia di Alava. La parola Guevara, in lingua basca “Evar”, significa felce. Ancora più sorprendente risulta la prima registrazione del cognome! Se ne fa menzione in una donazione fatta nel 1288 all’Ordine di Calatrava da parte di Vela Ladron de Guevara, Signore della Casa di Guevara che si definiva come “Principe del Popolo di Navarra”.

Ricapitolando, il Che e Calixto, oltre ad essere la stessa persona, hanno anche la stessa ascendenza storica. Sono tutti e due baschi e provengono entrambe da famiglie reali, probabilmente imparentate, che hanno guidato le province basche e la zona di Navarra. 
Ormai si tratta di un autentico diluvio di coincidenze, e perfino il più scettico degli osservatori non può non pensare di rivedere per intero la propria dottrina e convertirsi al buddismo!
Andando avanti si può aggiungere che i nostri due eroi furono, in tempi diversi, i più grandi esperti di guerrilla del continente.

Sia Ernesto Guevara che Calixto Garcia, nonostante le indubbie capacità strategiche, almeno all’inizio delle proprie carriere, non agirono da leader assoluti. Entrambe erano, infatti, vice in comando di Fidel Castro e Antonio Maceo rispettivamente. Calixto Garcia, in un secondo momento della Guerra di Liberazione, divenne per un breve periodo comandante in capo.
Viene poi da pensare che l’innata capacità del Che di sfiancare la resistenza nemica con continui attacchi di sorpresa provenga dall'insigne anima di combattente che gli venne traslata dal collega Garcia. 
Sono parte delle cronache di guerra le imboscate, in assoluta minoranza numerica, portate a compimento sia da Calixto Garcia che dal grande Guerrillero. Il Che arrivò perfino a scrivere un libro per illustrare la materia, adottato dalla CIA come manuale.

I due uomini facevano poi della forza morale e dell’intransigenza le colonne portanti della propria vita pubblica e privata. Le loro virtù vennero espresse in molti slogan combattenti che sembrano concepiti da una sola mente. 
Il più famoso e ricorrente, attribuito dall’agiografia dell’epoca a Calixto Garcia recitava: “O libres para siempre, o batallando siempre hasta ser libres”. Ernesto Guevara più sinteticamente preferiva dire: “Hasta la victoria sempre”. 
In ogni caso i motti sembrano procedere da un’unica entità.



Ancora un elemento li accomuna: l’antiamericanismo. Nel caso di Garcia, questo compare tardivamente in seguito alle ingerenze indebite da parte dei militari americani nella gestione della guerra. Quando l’esercito americano interviene direttamente, Garcia coopera con le truppe mandate da Washington e con queste ottiene la conquista di Santiago di Cuba. A quel punto viene proibito alle forze Mambises di entrare trionfalmente in città. Il generale protesta energicamente con il suo omologo americano e si dirige verso la costa nord-orientale, proseguendo da solo la lotta per l’indipendenza e la libertà di Cuba.                                                                    
Il Che, avendo ereditato l’anima del Generale, rielaborò il sentimento antiamericano e lo trasformò nel motivo portante della propria filosofia politica. Le idee richiedono spesso una lunga sepoltura e decantazione per essere poi riesumate e affermate con rinnovata convinzione!
L’Entità Storica (d’ora in poi così chiameremo i due eroi) era caratterialmente impulsiva e spesso perdeva il lume della ragione, ma riusciva a rientrare prontamente nei ranghi al momento della battaglia, mostrando una lucidità ineguagliata.

Calixto Garcia morì di polmonite l’11 dicembre del 1898, anche se molti dicono che venne assassinato dagli americani (...sic!). 



Ernesto Guevara, l’altra metà dell’Entità Storica in esame, durante una partita di rugby, a causa di una crisi d’asma, secondo un racconto fattomi da Alberto Granado in persona, quasi ci lascia le penne. 



Guevara in altre occasioni rischia di morire per l’asma, e subito dopo il trionfo della Revolucion si installa a Tararà, una zona balneare vicino l’Avana, per combattere la malattia. Mi chiedo se i reincarnati possano morire per la stessa causa. Credo che la ragione voglia che questo non succeda perché l’anima del reincarnato ha già esperienza in materia, e può verosimilmente prevedere i danni agli organi già colpiti. 
Le due metà dell’Entità Storica hanno quindi lo stesso punto debole, i polmoni.



Se non fosse abbastanza, c’è ancora la questione dei resti mortali delle due componenti. 
Calixto Garcia muore negli Stati Uniti nel 1898 e le sue spoglie vengono tumulate nel cimitero di Arlington, con tutti gli onori militari. Solo nel 1980 lo stato cubano ottiene la restituzione della salma del Grande Generale. Anche a Cuba, in pompa magna, viene ri-seppellito a Holguin, dove era nato.
Ernesto Guevara, ucciso nel 1967 in Bolivia, ha dovuto aspettare molto meno per tornare nella sua patria adottiva (Fidel gli aveva già conferito in vita la cittadinanza cubana ‘dalla nascita’). 
Nel 1997, esattamente trent’anni dopo la sua morte, è ritornato a casa e ora riposa a Santa Clara nell’omonimo mausoleo. 
Tutt'e due muoiono quindi all'estero e i resti d’entrambe vengono riottenuti dallo Stato cubano dopo anni.


L’ultimo e più cospicuo fattore comune tra i due eroi è la presenza costante, e in uno dei due casi indelebile, di una stella in fronte. 
Nel caso di Guevara si tratta di una scelta puramente estetica, mentre per ciò che riguarda Calixto Garcia, il corpo celeste in fronte sembra essere un rilucente segno del destino. 
Il Che, infatti, come da ufficiale iconografia, non si separava mai dal proprio basco sul quale era ricamata una rossa stella che molti dicono ammiccasse alla poderosa Cina del sol levante. 

Calixto Garcia, invece, la stella in fronte se l’era procurata in seguito ad uno “sfortunato” tentativo di suicidio. 
Nel 1874, il Generale, braccato nella zona di Manzanillo da più di 500 soldati spagnoli, rimasto alla testa di soli 20 uomini e avendo capito che non esisteva modo di sfuggire alla morte per mano degli odiati nemici, decise di suicidarsi. 
Caricata quindi la propria pistola calibro 0.45, la portò alla bocca e fece fuoco. 
La pallottola, invece di penetrare nel cervello, realizzò una strana carambola e venne fuori nel bel mezzo della fronte, lasciandolo miracolosamente incolume, tranne che per una grossa cicatrice che gli fece guadagnare il nomignolo di “General con la estrella en la frente”, come amava definirlo Josè Martì. 

Il fallito suicidio contribuì ad infittire l’alone da epopea che già circondava il grande Generale. Quando alla madre venne comunicato che il figlio si era arreso agli spagnoli, questa disse convinta: “Quello non è mio figlio!”. Subito dopo le venne annunciato che il suo Calixto aveva tentato il suicidio. Solo a quel punto ammise: “Allora si, quello è mio figlio!”.



Sia Calixto Garcia che Ernesto Guevara sono figli della grande patria cubana. 
La bandiera di Cuba trae, colmo della contraddizione, ovvia ispirazione da quella americana. Si distingue però per un particolare di non poco conto: al posto delle tante stelle che affollano quella degli Stati Uniti, la bandiera dell’isola di stelle ne ha una sola. 
La bandera de la estrella solitaria, come viene comunemente definita, è forse la rappresentazione grafica più chiara dell’isolamento a cui è stata destinata Cuba ormai da molti anni. E ha anche molto in comune con i nostri eroi solitari che preferiscono il suicidio ad una morte anonima o ad una vita senza azione, come nel caso di Guevara. 

E’ infatti il suicidio l’ultimo tratto comune dei due combattenti. Garcia provò ad uccidersi con poca fortuna. 
Guevara, anche alla luce dei suoi stessi scritti e di una attenta analisi del clima in cui visse prima della sua partenza per la Bolivia, il suicidio, forse inconsciamente, lo cercò pensando che sarebbe stato impossibile ritagliarsi nell'ambito della Revolucion un ruolo in linea con le sue posizioni intransigenti ed improntate alla massima coerenza. Basta scorrere le poche righe che scrive a suoi cari prima di partire per l’ultima missione della sua vita.                                                                                                                        “Sento di nuovo sotto i talloni i fianchi di Ronzinante. Riprendo la strada, scudo al braccio [...] Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che vogliono liberarsi [...] Molti mi tratteranno da avventuriero, e lo sono, ma di un genere diverso, di quelli che rischiano la pelle per difendere le proprie convinzioni. Può darsi che stavolta sia l'ultima. Non la cerco, ma è nel calcolo logico delle probabilità. Se così fosse vi abbraccio per l'ultima volta...".                   
Il riferimento al Quijote, campione di libertà e di solitudine è struggente. Guevara dice di non cercare la propria fine, ma il solo fatto di dirlo a se stesso e ai suoi cari fa intendere che il pensiero di ricercare la soluzione conclusiva gli balena per la mente. Molti storici concordano su questa ipotesi.


                                                                                           
Il suicidio a Cuba corre simile ad un filo sottile lungo tutta la storia dell’isola. https://contrattempo.blogspot.com/2018/07/ilsuicidio-cuba.html
Forse anche Ernesto Guevara, ormai cubano a tutti gli effetti, ha avvertito l’acre seduzione che il Seppuku esercita sui grandi combattenti che si sentono ormai svuotati e privi di un ruolo. 
Il Seppuku Hara-kiri è l’unica definizione possibile di suicidio che si può accostare a Guevara. L’estremo gesto per conservare l’onore del grande guerriero. 

Prima dell’avvento del Buddismo, in Giappone, il rito del Seppuku non esisteva. A quel tempo, pare che i giapponesi pensassero solo a divertirsi e non a togliersi la vita. Solo grazie all'idea della transitorietà della natura della vita e al concetto di gloria della morte tipiche del Buddismo la tradizione attecchisce. Tutto ciò rimanda inesorabilmente a quanto detto all'inizio. 
Ernesto Guevara è la reincarnazione di Calixto Garcia. Dimenticavo di dire che Leon Trotsky amava definire i soldati dell’Armata Rossa i Samurai del proletariato.














sabato 26 febbraio 2022

IL CARNEVALE A CUBA

 

“L'Africa, fra tutti i continenti, insegna che Dio e il Diavolo sono una sola entità, la maestà eterna.”

Karen Blixen


Il Carnevale a Cuba si celebra d’estate e non a febbraio o a marzo per una ragione precisa: fino al momento dell’abolizione della schiavitù, per i neri che lavoravano nelle piantagioni di canna da zucchero, la fine di luglio significava anche il culmine delle fatiche del raccolto. I proprietari terrieri consegnavano le città per sei giorni agli schiavi che ne diventavano i padroni assoluti. I bianchi facevano questa concessione ai neri e si chiudevano in casa per tutta la durata della festa.

Anche i latifondisti avevano il proprio carnevale da cui i neri erano rigorosamente esclusi. Si celebrava, secondo il calendario cattolico, prima dell’inizio della quaresima e non aveva nulla a che fare con i tormenti degli schiavi.

Negli anni ‘20 del secolo scorso, il carnevale segregazionista dei bianchi venne finalmente abolito.

Il razzismo ha però resistito per molto ancora. Nei primi anni ‘50, proprio in occasione delle celebrazioni del carnevale cattolico, a Fulgencio Batista, nonostante fosse il Presidente della Repubblica in carica, fu negato l’ingresso all’esclusivo Havana Biltmore Country Club perché era mulatto.



La cosa più divertente è che, come da statuto del Club, il Capo dello Stato diventava automaticamente socio onorario. Ma a causa del colore della pelle, a Batista, l’accesso alla sede era precluso. Conflitti di leggi e regolamenti.



In seguito, per farlo presenziare all’inaugurazione di una darsena e di alcune opere pubbliche attigue al Biltmore Country Club, addirittura si allestì un’entrata di fianco al recinto per evitare che il dittatore passasse da quella principale. Oltre ai neri e ai mulatti, l'accesso era proibito agli ebrei.

Per quanto strano possa sembrare anche il carnevale dei neri, nonostante sia una festa popolare per eccellenza, da sempre attua le proprie discriminazioni. La distinzione più netta è fra i Paseos e le Congas. Il primo gruppo è il più ricco ed è posto su un gradino più alto nella scala sociale rispetto al secondo. I Paseos ostentano carri sfarzosi con ballerini, coreografie ben sincronizzate e orchestre con decine di elementi. Ci si limita però al pasodoble e alla marcia composta.



Le Congas sono invece espressione della classe operaia, non hanno carri ma vi partecipa una moltitudine di danzatori vestiti in modo sgargiante che si agitano in maniera unica al ritmo delle percussioni. Seguono il suono della trompeta china, la cornetta cinese importata a metà ‘800 dai coolies, i lavoratori immigrati dall’estremo oriente.  
Lo strumento ha un timbro rauco, nasale ed acutissimo che sovrasta tutto e arriva più lontano di ogni altro. Musica assordante, danza sfrenata e alcol in enormi quantità dimostrano che anche nel carnevale cubano esiste la differenza di classe. 
Da un lato la compostezza e la raffinatezza dei carri e delle coreografie dei Paseos, dall’altro gli appetiti semplici delle Congas, le danze scatenate e lo smodato consumo di rum.

 

Ho assistito al carnevale di Santiago un paio di volte a metà anni '90, quando i turisti erano pochi e l'isola ancora impermeabile agli stimoli esterni. E’ considerato da sempre il più autentico. Non ho mai visto una tale voglia di dimenticare i guai della vita convogliarsi con tanta intensità nel breve lasso di sei giorni.

Il rum scorre a fiumi, le strade e la città intera restano impregnate dell’odore dolciastro tipico della canna da zucchero da cui si produce il distillato. Ti s’incolla addosso grazie al tasso d’umidità che in quei giorni dell’anno si mantiene costantemente attorno al 90%. 

Seminato lungo il cammino dei cortei festanti c'è pure il puzzo di piscio che sovrasta tutto. Presto ti abitui anche a quello, complice lo stordimento causato dalla miscela del rum con la musica.

Hai l’impressione d’avere addosso una seconda pelle, uno strano impasto di sudore e miasmi nauseabondi, misti all’alito rivoltante del tuo prossimo che da giorni non dorme e continua a bere per tenersi in piedi. E’ una sensazione simile, fatti salvi i tanfi, a ciò che si prova quando si scende dall’aereo venendo dall’Europa. T’avvolge una coltre calda e carica d’umidità che ti fa subito capire che sei ai tropici un’altra volta.



Durante il carnevale la voglia di ballare è sovrana. La Conga, il ritmo della festa, è ossessiva e liberatoria. Deriva dal suono primordiale dei tamburi africani usati per comunicare tra i villaggi delle valli del Congo. Gli schiavi neri lo hanno tramandato attraverso i secoli.

La gente comune s’accoda e balla senza fermarsi per l’intera durata della festa. La Conga alla fine scantona dalle rotte tradizionali e va in giro per i quartieri più poveri dove c’è la vera sostanza del carnevale, e si va avanti fino all’alba. Poi, al termine dei sei giorni, si ritorna alla normalità.

https://www.youtube.com/watch?v=hVpVvU2Hsd4  

(Conga Santiago de Cuba) 

https://www.youtube.com/watch?v=UF8Ap3xI5Bk

(Conga drums "La Casa del Caribe" Santiago de Cuba)





Nel corso degli anni sono stati messi in atto diversi tentativi per evitare che il carnevale fosse celebrato dai neri afro-cubani.

Il sindaco di Santiago de Cuba a metà anni ‘20 scriveva:

El estridente grupo de tambores, sartenes y gritos, a cuyos sonidos se escuchan multitudes epilépticas, irregulares y semidesnudas por las calles de nuestra metrópolis, y quienes, entre contorsiones y movimientos bruscos, muestran una falta de respeto a la sociedad, ofender la moralidad, desacreditar nuestras costumbres, rebajarnos ante los ojos de las personas de otros países y, lo que es peor, con su ejemplo, contaminar a los escolares, que he visto arrastrados por el calor de la lección, jadeando y sudoroso, participando en frenéticas competiciones en flexibilidad corporal en esos vergonzosos torneos de licencia.

Il dittatore Machado, forse il peggiore fra tutti i governanti dell’isola, per un periodo riuscì nell’intento.



Dopo un paio d’anni dovette però arrendersi e ordinare la ripresa delle celebrazioni. Da allora in poi non sono state più interrotte. 

La tradizione ha sempre resistito ai bianchi inquietati dallo spirito vitale del carnevale afro-cubano che spazza via ogni sovrastruttura e lascia nudi e in compagnia della più profonda natura umana. Eventualità di cui molti bianchi hanno da sempre paura.

La cultura nera afro-cubana è semplice, remota e ancestrale, scuote e mette in discussione ogni patina di ipocrisia e finzione. Spinge chiunque nel vortice delle proprie origini. Ci pone di fronte all'istintualità che i neri sanno cavalcare in modo agile e naturale. E’ questa la base della cultura nera, che ancora oggi spiazza quei bianchi che non cedono al suo incanto.



venerdì 29 ottobre 2021

IL RIUTILIZZO DEI PRESERVATIVI A CUBA

Con una vita sessuale normale la nevrosi è impossibile.

S. Freud 



Da un po' di tempo a Cuba è in atto un dramma nazionale di proporzioni gigantesche. Nulla a che vedere con i problemi economici acuiti dalla orribile pandemia. Nessun nesso con l’assenza del turismo che tanto apporta alle casse del paese.

 A Cuba, ormai da mesi, non si trovano più i preservativi. In questa terra l’articolo in questione è per molti osservatori molto più di un semplice genere di prima necessità. Per qualcuno le conseguenze della sua scarsezza o assenza potrebbero perfino mandare a gambe all’aria l’intero paese. Puoi privare il cubano d’ogni cosa, forse anche del rum, ma c’è chi è convinto che senza profilattici, a parte gli ovvi risvolti sanitari, l’isola rischia di diventare teatro di reali tumulti.

Fino a poco tempo fa c’era una tale inflazione di preservativi che li si impiegava per le attività più improbabili: per raccogliere i capelli sulla nuca o bloccare fasce di banconote, come tappo su bottiglioni usati per far fermentare distillati artigianali, per pescare in mare e, ben gonfi, per far giocare i bambini o come addobbi e festoni in occasione dei compleanni, etc.



http://contrattempo.blogspot.com/2017/07/le-molteplici-funzioni-del-preservativo.html )

Di recente in Vietnam è stata sgominata una banda di malviventi che riciclava preservativi in grandi quantità per poi rimetterli sul mercato e destinarli al loro uso principale.

 ( https://www.nytimes.com/2020/09/25/world/asia/vietnam-recycled-condoms.html )


 A Cuba la questione è però più profonda e va ben aldilà del lucro. Negare i profilattici alla popolazione equivale a togliere il bastone ad uno zoppo o privare qualcuno della vista.

Chissà poi quale sarà la vera origine del carattere nazionale cubano, in molti se lo domandano da secoli. Si potrebbe dire che da queste parti l’intimità è l’unica felicità possibile. E' stato detto di tutto per dare un senso e una spiegazione al fondamentale bisogno di contatto fisico che regola i rapporti fra gli abitanti dell’isola.

http://contrattempo.blogspot.com/2018/12/sesso-e-amori-cuba-ovvero-della-giostra.html )

Noi occidentali evoluti, perfino in età di piena tempesta ormonale, surroghiamo quasi ogni bisogno con l’uso dei social. Da queste parti, se spariscono i preservativi, sono dolori per tutti. 

E ancora, quale sarà il vero segreto dell’eterna felicità dei cubani? L’ossitocina prodotta dall’unione affettiva o la matrice carnale africana?

Tornando alle questioni più spicce, in questi mesi, al mercato nero, i preservativi costano più di 10 volte il prezzo politico che lo stato imponeva quando c’era abbondanza.

Ormai solo qualche turista, diplomatico o chi lavora per le aziende straniere e viaggia riesce a portarne con se qualcuno. Chi conosce l’isola comprende la portata della questione. Il sesso è anche rifugio per sfuggire alle amarezze e ai problemi della vita.

Le auto d’epoca a Cuba sono epitome della capacità di preservare e mantenere vivi gli oggetti nel tempo.

 ( http://contrattempo.blogspot.com/2017/10/i-cubani-e-le-architetture-della.html )

Tutti conoscono le abilità del cubano al momento di riciclare, ma nessuno avrebbe mai pensato al reimpiego dei preservativi.


E' questa l'ultima frontiera possibile per assicurarsi l'irrinunciabile intimità a Cuba.

Noi passiamo il tempo a spuntare il prezzo migliore su Amazon per beni voluttuari, spesso solo inutili, felici di averli fatti nostri per pochi soldi. Quì non esiste il commercio online, il contatto sessuale equivale a un bene o diritto primario, e il preservativo è strumento chiave per farlo valere. Senza scordare che si tratta anche di diritto alla salute, data la proverbiale promiscuità degli abitanti del luogo.

Il governo, come si può ben comprendere, al momento ha altre priorità. Ma forse ovviare alla mancanza di preservativi è una priorità come le altre, e per molti è perfino la più pressante.

A Cuba da anni non ci si riproduce più come si usava una volta. Mettere al mondo figli ha ormai un costo anche da queste parti, nonostante il sostegno economico statale per assicurare nuova linfa vitale alla Revoluciòn. E il preservativo serve anche a limitare i danni.



L’astinenza sessuale, come dice Freud, è senza dubbio poco salutare ed è quasi più pericolosa del celibato sacerdotale. Dicono che questo sarà il vero problema sanitario nell’isola, altro che Covid-19.

Da noi, i giovani, privati della libertà a causa della pandemia, sono vittime di scompensi mentali. C’è già chi scommette che i cubani senza preservativi impazziranno in massa.

sabato 28 agosto 2021

MONIKA ERTL, L'ANGELO CHE VENDICO' CHE GUEVARA

 

Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale.

C.S. Lewis

 



Ci sono storie di questo mondo che sembrano poter prendere corpo solo in un luogo magico e indefinibile come l’America Latina. L’incrocio di vite ed esistenze antagoniste e al contempo prossime può avvenire ovunque. Ma da queste parti, nel continente più giovane di tutti, il terreno ideale è forse più fertile, e un continuo rovesciamento di ruoli può essere più naturale che altrove.

Si dice che solo le tragedie greche o il più intricato dei drammi shakespeariani possano reggere il confronto con la storia di Monika Ertl, tedesca, figlia naturale del nazismo e poi adottiva del sogno rivoluzionario guevarista.


MONIKA ERTL


Hans Ertl, padre di Monika, esploratore, alpinista, scrittore, antropologo ed etnografo, nacque nel 1908 e fu assistente di Leni Riefenstahl, la cineasta che glorificò il nazismo con le sue riprese dei Giochi Olimpici di Berlino nel 1936.

(Ertl in Bolivia)

(Ertl sul Nanga Parbat nel 1953) 

Ertl non era un fervente nazista e sembra non avesse nulla contro gli ebrei. Ma ebbe la sventura di essere identificato con la figura del fotografo ufficiale del Fuhrer.



Monika con il padre Hans Ertl

Alla fine della seconda guerra mondiale, come molti ex-militari tedeschi, decise di trasferirsi con la famiglia in America Latina, prima in Cile e poi in Bolivia dove compra un latifondo di più di 2500 ettari. La terra confinava con le proprietà di Hugo Banzer che nel 1971 prenderà il potere grazie ad un colpo di stato. 

La tenuta dove viveva la famiglia Ertl era frequentata dai peggiori torturatori nazisti. Klaus Barbie, il famoso macellaio di Lione, era di casa e Monika da bambina lo chiamava “zio Klaus”.


Klaus Barbie

Hans Ertl riuscì perfino a trovargli un lavoro a La Paz facendolo passare per un ebreo tedesco. Dopo qualche anno, Barbie diventò uno dei consiglieri più ascoltati del governo e delle peggiori dittature latino-americane di quel periodo.

Nel frattempo Monika sposa un tedesco-boliviano, ma il matrimonio fallisce dopo meno di dieci anni. La Ertl, eccellente fotografa e documentarista, vissuta per anni fra le peggiori bestie naziste, a questo punto compie una virata integrale e abbraccia la causa dei diseredati boliviani impegnandosi anche economicamente nella fondazione di una casa per orfani a La Paz.





Dopo l’assasinio del Che, avvenuto in Bolivia nell’ottobre del 1967, la storia di Monika prende una piega ancora più radicale. La Ertl si arruola nella Guerriglia di Ñancahuazú in cui aveva militato Ernesto Guevara prima di essere trucidato. Monika, come racconta la sorella Beatriz, “adorava il Che come se fosse un Dio.”

Abbandonata la cinepresa diventa “Imilla” la rivoluzionaria e prende residenza in un accampamento paramilitare sulle colline boliviane con il grado di agente operativa dell’ELN.

Klaus Barbie, sempre lui, secondo fonti da più parti confermate, ebbe un ruolo chiave nella cattura del Che in Bolivia in qualità di consigliere militare della dittatura del tempo.


Quintanilla (a destra) dopo l'uccisione di Ernesto Guevara


Ma chi decise l’assassinio e la mutilazione di Ernesto Guevara fu Roberto Quintanilla Pereira. Oltre ad aver tagliato le mani del Che per testimoniare l’avvenuta esecuzione, Toto Quintanilla uccise anche il compagno di Monika, l’amatissimo Inti Peredo, l’ultimo erede di Guevara in Bolivia.


Inti Peredo

Si può ben intendere, dopo tanti dolori, quanto odio Monika covasse nei confronti di Quintanilla, tanto da decidere di tornare in Germania per farlo fuori (il regime boliviano lo aveva intanto promosso console ad Amburgo).

Imilla pianifica nei dettagli l’agguato e riesce, con un pretesto e grazie alla propria avvenenza, a farsi ricevere dal console nel suo ufficio. Il primo aprile del 1971 spara tre colpi e porta a compimento la vendetta sognata da tutta la sinistra mondiale. 

Sulla scena, oltre alla pistola, la parrucca e una borsetta, che in una breve colluttazione la moglie di Quintanilla riesce a strapparle, lascia un biglietto con la scritta “Vittoria o Morte”. 


Quintanilla console ad Amburgo

La pistola, una Colt Cobra 38 Special gliela aveva consegnata a Zurigo Giangiacomo Feltrinelli, grande amico di Fidel. L'arma l'aveva comprata egli stesso in una armeria in via Croce Rossa a Milano, a due passi dalla sede della casa editrice. 

L'editore, per questa ragione, venne poi indagato quando era già in clandestinità. 


Feltrinelli e Fidel all'Avana negli anni '60

Altri boliviani sono stati uccisi per aver favorito la cattura del Che. Non ultimo Renè Barrientos che nel 1964 aveva preso il potere in Bolivia con l'ennesimo colpo di stato. Il dittatore, secondo alcuni, morì in un attentato aereo organizzato per vendicare la morte di Ernesto Guevara. Il contadino che tradì il Che, ed in cambio ricevette una tenuta agricola come ricompensa, venne finito a colpi di bastone davanti l'uscio di casa.   

Dopo l'assassinio di Quintanilla, Imilla diventa la donna più ricercata non solo dalla polizia boliviana, ma anche da tutte le dittature militari dell’epoca e dalla CIA. Sulla sua testa pende una pesante taglia. 


A questo punto della storia ci si chiede: chi mai potrà braccare Imilla? Il vecchio “zio Klaus”, come è ovvio che sia!


Il macellaio di Lione

Régis Debray, il grande traditore di Guevara, racconta che Imilla, di passaggio a Cuba, gli aveva rivelato che il suo prossimo obiettivo sarebbe stato proprio Barbie. Contava di arrestarlo e portarlo in Europa per farlo processare (per molti, Debray tradì anche Imilla). Feltrinelli era pronto a finanziare le spese logistiche e l'affitto di un aereo per estradare il nazista.

Ma il vecchio Macellaio di Lyon nel 1973 la precede, uccidendola con un compagno in una imboscata vicino La Paz. 

Hans Ertl ha sempre affermato che, prima di essere ammazzata, Monika fu torturata dallo stesso Barbie. 

Prima di comprendere la vera natura del boia di Lione, Ertl, nel tentativo di salvare la vita della figlia prediletta, fa visita proprio a Barbie chiedendogli consigli. Il nazista risponde che solo consegnandosi Imilla avrebbe potuto ottenere clemenza, salvando così le proprietà di famiglia dalla confisca del governo. 

Nel frattempo le dava la caccia con tutte le proprie forze e agiva perchè Ertl venisse privato di tutti i beni, cosa che puntualmente avvenne.

Hans Ertl era stato generato da uno stupro. Sempre rifiutato dalla madre, solo con Monika era riuscito a trasmettere il proprio affetto a qualcuno.

I resti di Monika non sono mai più stati ritrovati perchè, su indicazione del governo, furono gettati in una fossa comune.

Imilla in lingua Quechua e Aymara vuol dire piccola bambina.



sabato 15 maggio 2021

IL TEMPO DELLE CODE A CUBA


Quanto dura un minuto? Dipende da quale lato della porta del bagno si è.

A. Bloch


Tutti sappiamo che la percezione del tempo e la sua misurazione, in barba a tutti gli standard comuni adottati ai quattro angoli del mondo, variano a seconda delle latitudini e delle diverse culture. 

Ci sono europei che vivono a Cuba da anni e riescono ancora ad infastidirsi se i nativi non rispettano l’orario di un appuntamento. Molti arrivano perfino a perdere il controllo dei nervi se costretti ad aspettare qualche ora in coda fuori da un ufficio pubblico o per entrare in un negozio statale o in un supermercato. 

Qui perfino l’idea di spazio-tempo, la sua curvatura e la contrazione della massa, se si potessero avvertire, verrebbero messe in discussione. Eppure, in questa terra c’è la prova che il tempo è un fatto locale. 



Quando un cubano fissa un appuntamento si tiene sull’indistinto per principio consolidato. Mai si dirà ci vediamo alle 5.30, sarebbe troppo arrischiato. Si dice “a las cinco y pico”, più o meno alle cinque e cocci. E quel “pico” è variabile indipendente, denominatore inafferrabile di una idea di tempo che sfugge al vincolo numerico. E’ certo che i trasporti pubblici e privati locali non aiutano, e rendono ogni spostamento complicato e non privo di sorprese, tanto che tenersi sul vago è sempre buona regola. Ma è la natura stessa del cubano, prima di ogni causa esterna, che impone l’uso della formula del “pico” che può voler dire 5 minuti dopo le 5, 55 o tutto quello che sta in mezzo. 



Nulla è certo e riproducibile in serie da queste parti, non ultimi i comuni disbrighi burocratici che, più d’ogni altra cosa, riservano sorprese inaspettate. Perchè ipotecare il futuro quindi? Non conviene e spesso causa disillusioni che nessuno è disposto a sopportare. 

Allora è come se il cubano prendesse a prestito la tipica flemma anglosassone, rielaborata secondo i propri costumi, per poi impiegarla per galleggiare in modo rassegnato, ma non senza buonumore, in un paese in cui l’attesa in apparenza inutile delle code può diventare opportunità di socializzazione. 

Purtroppo, nell’ultimo anno, a causa del Covid, gli afflati e la messa in comunione dei corpi, che ne erano la parte più mondana, non esistono più. Spesso manca anche lo scambio di idee e informazioni sui prodotti in vendita o sui servizi richiesti. Anche la voce di qualcuno, magari imbottito di rum, pronto a inveire contro l’inefficienza, la corruzione dei funzionari, degli impiegati o di altre entità imprecisate. 



Il bello di questa santa isola lo trovi anche nelle code dove c’è sempre qualcuno da ascoltare che racconta qualcosa che vale la pena di conoscere. In fila può pure capitare di incontrare una star della televisione o del cinema, o qualche sportivo di rango che ha perfino vinto delle medaglie alle olimpiadi. A stento vengono notati dal resto della gente perché qui l’idolatria delle nostre parti è assente e ogni attenzione si concentra sul numero di persone che hai davanti. 

Ad ogni modo le code sono ancora il vero termometro per capire la temperatura e sondare gli umori del popolo locale. 

A Cuba si sta in fila per tutto, tanto che esiste una categoria di lavoratori, i coleros, non ancora sindacalizzata perché non riconosciuta dallo stato, che si premura di rivendere i turni ai migliori acquirenti. Dopo aver passato notti all’addiaccio di fronte ad un negozio o ufficio per potere acquisire il diritto, il colero lo cede a chi non è disposto ad aspettare per ore in fila. 



Solo all’Avana si pensa siano centinaia, gente che si muove da una zona ad un’altra a seconda dei bisogni dei cittadini, che con puntualità intercetta e sfrutta a proprio vantaggio. 

Se, per esempio, si ha notizia riservata che in un supermercato il giorno seguente venderanno un lotto di televisori che vanno a ruba per prezzo e qualità, allora il colero dormirà sotto i portici o sulla panchina più vicina, e ad apertura sarà lì presente. Oltre a cedere i posti in fila, i coleros comprano in proprio per poi rivendere a prezzi maggiorati quando la merce non sarà più disponibile.



Ancora più spesso si accordano con gli impiegati dei negozi statali che nascondono certi prodotti che però il colero per incanto possiede e vende all’entrata a prezzo gonfiato. 

Li riconosci subito fuori dai supermercati. Capisci che hanno tutto sotto controllo, sembra che lievitino al di sopra della gente ed è come se avessero i cinque sensi ad efficienza moltiplicata, pronti a cogliere ogni minimo refolo, movimento umano o l’approssimarsi della polizia. Sono anche fonte di informazione imprescindibile. 

Spesso, per ovvie ragioni professionali, riescono a mandare a memoria quasi l’intero assortimento del punto vendita, inclusi prezzi e pezzi ancora invenduti. A volte in modo più accurato degli stessi impiegati che conoscono solo il proprio reparto. L’attività impone un aggiornamento costante su tutti i movimenti merce. Gli impiegati, dal canto loro, hanno pochi stimoli, e sembrano brillare solo per la svogliatezza con cui si occupano dei clienti.  

Il colero riesce anche a travestirsi per aggirare le limitazioni all’accaparramento imposte dallo stato. Quando un bene ha una forte domanda, non si può comprare più di una quantità prestabilita di unità. Allora si lascia immaginare l’esplosione della fantasia e l’inventiva fa faville. 



Ultimamente, con l’obbligo della mascherina, pare che il colero che accaparra abbia ampio margine di vantaggio rispetto ai controllori che stazionano all’entrata. 

Le uniche categorie che a Cuba passano oltre il colero sono le donne incinte, gli anziani e i disabili. Hanno la precedenza e saltano le code sempre, e può succedere che rivendano il proprio diritto a terzi in cambio di un conguaglio o di qualche prodotto. Ma non rovinano il mercato. Eppoi la proverbiale solidarietà cubana è sempre viva, e si rafforza soprattutto se si tratta di concittadini svantaggiati e di situazioni di emergenza. 




Anni fa, nel pieno del “
Periodo Especial”, ci si spostava per chilometri fino ai margini della città perché qualcuno aveva avvistato un dato prodotto in qualche supermercato fuori mano. Salvo poi restare con un palmo di naso perché questo si era esaurito o la notizia era inventata. 

Da qualche anno, coi gruppi WhatsApp è tutto più semplice e le notizie sono più affidabili. Sembrava che i coleros dovessero sparire. Ma da parecchi mesi ormai, a causa del Covid e della crisi economica, si sono ridotte le importazioni, le merci di ogni genere scarseggiano, le code si gonfiano e i coleros vanno a nozze. 

Di nuovo, quale tempo ci dirà per quanto ancora?