https://i.postimg.cc/4xwVWRZs/161126145740-fidel-castro-and-mandela.jpg Contrattempo all'Avana: EL SOLAR DE BELEN EN CUBA

giovedì 19 maggio 2016

EL SOLAR DE BELEN EN CUBA

She reflected. "I prefer stories about squalor."
"About what?" I said leaning forward.
"Squalor. I'm extremely interested in squalor."

J.D. Salinger

"Vuoi mettere la bellezza e la sensualità di una vita disperata?"
Anonimo

B. Russell, in un saggio sull’architettura e connesse questioni sociali, dice che “bisogna rinunciare alle villette separate e alle case d’appartamenti, ciascuno fornito di una propria cucina, sostituendoli con un vasto cerchio di edifici costruiti attorno ad un quadrangolo centrale con cucina comune, sala da pranzo, sala per gli svaghi, per le riunioni e per il cinema”.
Sembra la descrizione del tipico solar habanero, escludendo i servizi da sala. Nelle zone più popolari dell'Avana esistono infatti dei rettangoli i cui lati sono composti da edifici ad uno o due piani con al centro uno spazio comune. Sono molto simili alle case di ringhiera che esistono a Milano e in altre città italiane ed europee. Solo un po’ più fatiscenti. 




Il solar è uno dei più importanti incubatori della cultura e delle tradizioni popolari. Tutti i ritmi cubani, conga, rumba, mambo, cha-cha-cha e salsa hanno risuonato nei solar da sempre. Così come la habanera, che è poi l’origine del tango. Alcuni dicono che perfino il jazz, nei suoi primi passi, abbia tratto ispirazione da quel giro musicale.

In ogni caso, ciò che si sa per certo è che all’inizio del secolo scorso, i pianisti dei bordelli di Buenos Aires dove nacque il tango erano quasi tutti cubani di pelle nera, espatriati verso l’eldorado argentino (a quei tempi l’economia del paese era tra le prime al mondo).
Importarono e imposero i propri ritmi e mantennero la propria religione Yoruba. Changò, dio del fuoco, è l’idolo più venerato della santerìa afrocubana e l’assonanza con la parola Tango è percepibile perfino dall’orecchio più duro.
Anche i pianisti neri americani che ai primi del secolo scorso, nel sud degli Stati Uniti, suonavano l’organo nelle chiese metodiste durante la messa domenicale, la notte del sabato, nei bordelli, con le loro note scatenavano le danze. Ma si potrebbe dire che questa è un’altra storia.


Nello spazio comune dei solar si svolge la vita collettiva.
S’ intessono passione e odio, vendetta cruenta e amori d’ogni tipo, nascita, morte naturale e procurata. Tutti partecipano con personale trasporto ai drammi e alla felicità di tutti. Vivendo in un paese tropicale dove si passa l’intera giornata all’aperto, è impossibile sfuggire all’occhio vigile dei membri della “grande comune”. La riservatezza, valore già all'incirca sconosciuto a Cuba, è qui assente. Nel solar si vive come un corpo solo. La cosa che però più colpisce è la solidarietà che esiste fra gli ospiti.
Un giorno ci si può anche insultare e perfino picchiare, ma se il giorno dopo hai bisogno di una mano puoi sempre contare sull’aiuto del vicino. Il solar è un microcosmo che rappresenta la vita a Cuba meglio d’ogni trattato sociologico. E’ semplicemente lo specchio della cultura popolare. 

Ho frequentato un solar dell’Avana Vecchia per qualche tempo perché lì viveva una mia amica. Yaneisy ha due figli (avremo modo di commentare l’onomastica locale). Dell’identità del padre del primo nessuno è certo dato che lei, nel periodo precedente il parto, aveva rapporti con due uomini: un inglese che più volte al mese veniva all’Avana per motivi di lavoro e un cubano che in passato ha trascorso otto anni in carcere per omicidio e che asserisce di essere senza dubbi lui il padre. L’uomo in questione è parecchio focoso ed anni fa ha lasciato, come spesso succede da queste parti in certi circoli, traccia del proprio impeto sul viso angelico della nostra. Le ha infatti procurato con un coltello, durante una animata lite, uno sfregio sulla guancia. Il suo soprannome è Sataná. Il secondo figlio ha un padre la cui identità è accertata e allo stesso tempo negata dato che vive a pochi isolati e non va mai a vederlo, neanche in occasione del compleanno o delle feste comandate.

Dopo poche settimane sono riuscito a impadronirmi dei segreti della piccola comunità. Yaneisy mi ha raccontato tutti gli intrighi e le storie più inconfessabili degli abitanti del solar. Tutti sanno tutto di tutti perché si vive per strada e anche le questioni più intime si discutono all’aperto, alla luce del sole e ad un altissimo livello di decibel. Nel solar non esiste un confine netto tra notte e giorno. Può succedere che alle quattro del mattino qualcuno decida di fare festa e allora si mette musica a tutto volume e si balla smodati fino all’alba. Non c’è modo di fare rimostranze e non resta altro che unirsi al gruppo e fra uno sbadiglio e l’altro provare a divertirsi.
Quando ho cercato di riaffermare il mio diritto ad un sonno ininterrotto, Yaneisy mi ha detto: “Acuerdate que estamos en un solar y aqui la gente no tiene compasion.”                                                                            
                
I bambini sono due piccole fiere tropicali cresciute per strada e l’idea di imbrigliarli risulta impensabile. La madre respira solo le ore in cui stanno a scuola. E al loro ritorno ricomincia l’inferno.
Vivendo sola non ha un attimo di tregua e quando esausta non riesce a far fronte alla contingenza, da fondo all’ultima risorsa disponibile: il Valium. Solo così ne placa l’aggressività. Una piccola dose per ognuno sciolta nella loro bibita preferita e anche lei può crollare sfinita, salvo poi svegliarsi nel cuore della notte per l’ennesima rissa o per la festa di turno.

Il “Barrio Belen”, dove si trova il solar, è una delle parti più antiche dell’Avana Vecchia ed ha una lunga e consolidata tradizione storica. Tante canzoni dell’epoca d’oro del mambo citano il quartiere e molti romanzi lo menzionano. Nella cultura e nella musica popolare si fa spesso riferimento ai personaggi della zona. Il solar era in origine un’ampia casa privata padronale con annesso studio medico. Nell’abbondante scarrozzo d’entrata si svolge la vita comune e sul tetto dell’edificio è stato costruito un altro piano poi diviso in cinque minuscole abitazioni con soppalco dove vivono una trentina di persone. Mi è spesso capitato di dormire a casa di Yaneisy, la più piccola delle cinque al piano alto, e la mattina al risveglio mi sono trovato nella scomoda situazione di non poter fare una doccia per assenza di acqua. In realtà questa scorre copiosa nei tubi dell’acquedotto ma viene intercettata dagli abitanti della parte esterna del solar che lasciano alla maggioranza che vive più all’interno poche chance.
Per gli abitanti del piano più alto si tratta di un vero tormento perché se arriva l’acqua sono obbligati a trasportarla nei secchi su per una scala sconnessa. Quando con la modica spesa di 40 dollari feci stendere un tubo fino alla cisterna sul tetto e l’acqua arrivò a farla traboccare, diventai una specie di santo della provvidenza e tutti mi adorarono. 

La traiettoria di vita di Yaneisy sembra una favola con finale triste, almeno fino al momento. A 20 anni, povera in canna e bella come il sole, con la pelle ambrata, capelli lisci castani e occhi verdi, incontra l’inglese miliardario che le fa vivere una vita da sogno e la tratta come una diva per anni. Insieme hanno un figlio e nello stesso periodo entra in scena Satanà. Quando l’inglese s’accorge della doppia relazione in corso le chiede di lasciare il cubano. Lei per paura di diaboliche rappresaglie tentenna e lui le propone di farlo uccidere, chiedendole d’informarsi quanto costerebbe il servizio. Lei non vuole arrivare a tanto e nel mezzo del guado s’impantana. L’inglese la lascia, Satanà vende la casa a lei intestata e tutto il resto, incassa i soldi e la scarica, ma per non lasciare il figlio nei guai le compra con 2000 $ il buco dove ora vive con la prole, sola ma sempre incredibilmente allegra e vociante, tanto da essere stabilmente rauca.

Un sera di fine giugno di qualche anno fa, nello stesso isolato del solar, a poche decine di metri da casa di Yaneisy è scoppiata una colossale rissa. Le parti in causa erano due famiglie della zona: Los Muchos (I Tanti) e Los Azules (Gli Azzurri).
I primi, il cui vero cognome resta ai più ignoto, hanno ricevuto tale appellativo grazie alla loro inusitata abilità di riprodursi. I secondi sono invece neri come la pece. I neri con la più scura gradazione della pelle, sotto i raggi del sole, riflettono un colore che tende all’azzurro elettrico.
Si tratta di sottigliezze cromatiche che solo un occhio ben indirizzato riesce ad individuare. Il cubano coltiva una vera ossessione riguardo il colore della pelle. Ne riesce a catalogare ogni variante e possiede una definizione per ogni singola nuance. Può perfino indovinare, con poco margine di errore, basandosi sul tegumento dei genitori, di che colore sarà il nascituro e di che fattura saranno i suoi capelli, altra ossessione irrinunciabile.
L’oggetto del contendere era all’origine un secchio d’acqua. O meglio il primario diritto ad attingere, con precedenza certa, al rubinetto che approvvigiona l’intero edificio.

D’estate il flusso idrico rallenta e il caldo feroce del tropico rende gli umori molto più instabili. E’ tutto iniziato con  due ragazzine che si sono accapigliate al momento di fare la coda per riempire i secchi. In un attimo sono scese in strada, schiumando rabbia, le rispettive madri, le zie, le cugine e via di seguito. A un certo punto, anche gli uomini hanno preso il campo, alcuni di loro armati di machete.


Botte da orbi e qualche ferita sanguinante. Per fortuna nulla di serio, grazie all’arrivo della polizia in assetto antisommossa pronta a dirimere la contesa ormai levatasi al rango di guerriglia rionale fra opposte famiglie. Io nel frattempo mi trovavo sul terrazzo del solar osservando con curiosità gli sviluppi. Pochi minuti dopo è andata via la luce, lasciando al buio l’intero quartiere. In questi casi, come usa dire, con mio fratello contro mio cugino, ma con mio fratello e mio cugino (col favore delle tenebre) contro lo straniero. I malcapitati poliziotti hanno allora dovuto fronteggiare la carica dell’intero quartiere armato di bottiglie, pietre e ogni tipo di oggetti pesanti che arrivavano da tutte le direzioni. 

Per soddisfare il mio inesausto desiderio di conoscenza ho resistito eroicamente sul terrazzo avvolto in un materasso, evitando diligentemente di essere colpito da qualsivoglia munizione. Ho continuato a fare capolino fino a quando la pioggia di oggetti non si è infittita a tal punto da impormi desistenza e pronto rientro in casa. Il bilancio finale degli scontri è stato di una ventina di feriti gravi, soprattutto poliziotti. I mezzi d’informazione locali non hanno mai fatto menzione dell’accaduto. Solo qualche frammento di notizia è filtrato sui media stranieri.



Si diceva dell’onomastica locale e delle sue peculiarità. Nomi propri come Yaneisy, Yoandri, Yunisleidi, Yuneisi probabilmente appartengono alla categoria che proviene dall’ibridazione di elementi russi con fantasie televisive o altre fonti irrintracciabili, verosimilmente indios. Molti genitori hanno perfino avuto l’ardire di chiamare i propri figli con nomi che traggono ispirazione da dubbie marche di elettrodomestici d’importazione, di profumi e perfino di accessori sportivi. La gran parte di questi sono nati negli anni ‘60 e ‘70 quando l’isolamento dal resto del mondo era massimo, tranne per i contatti con l’orbita sovietica. I nati dopo gli anni ‘80 ricevono nomi meno contorti e impronunciabili frutto dei primi accostamenti con i fuoriusciti cubano-americani che iniziano a far ritorno a Cuba per visitare i parenti e portano con se i miti della Hollywood del tempo. Proliferano quindi i Marlon, Jessica, Harold, Michael, etc.
Le due categorie si sono ormai consolidate e resistono assieme ai più tradizionali e inossidabili Pedro, Josè, Carmen ed Ana…









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