https://i.postimg.cc/4xwVWRZs/161126145740-fidel-castro-and-mandela.jpg Contrattempo all'Avana: novembre 2020

sabato 21 novembre 2020

LA SANTERIA A CUBA

 “Quando ero ragazzino mio padre voleva che io fossi un bravo cattolico e che mi confessassi tutte le volte che avevo pensieri impuri sulle ragazze. Così ogni sera io diventavo rosso a confessare i miei pensieri. Così successe una sera, e poi un'altra sera, e così via. Dopo una settimana decisi che la religione non era fatta per me.”

Fidel Castro


I riti della Santerìa afrocubana e la sua intera iconografia religiosa sono sopravvissuti all’insana voglia di gran parte della chiesa cattolica di annientare ogni altra confessione religiosa grazie ad un’ingegnosa trovata che ne ha generato la matrice sincretica.

Angariati dagli schiavisti e dalla maggioranza dei preti cattolici, costretti a rinunciare alla celebrazione delle proprie liturgie, i neri, in gran misura provenienti dalla zona centrale dell’ovest africano, trovarono un equivalente nella religione cattolica per ogni loro divinità. 



Eleguà fu così identificato con Sant’Antonio da Padova, Oggùn con San Pietro, Changò, l’incarnazione della giustizia e della forza, con Santa Barbara, etc.                                        

L’espediente consentì ai neri di continuare a rivolgersi ai propri numi senza doversi nascondere per sfuggire al controllo degli aguzzini bianchi. Quest’ultimi avevano sacro terrore dei riti Lucumì che riescono a scuotere chiunque, fino alle viscere più profonde.

Il cubano Alejo Carpentier, morto nei primi anni ’80, per Leonardo Sciascia uno dei più grandi scrittori latinoamericani del ‘900, fu il primo a coniare il termine “realismo magico” (“real maravilloso”) e ad applicarlo alla letteratura latinoamericana e quindi alla vita del continente. 



Si tratta dell’inclusione di elementi mitici e fantastici in racconti d’ogni genere che altrimenti sarebbero perfettamente aderenti alla realtà. I figli di questa letteratura sono Juan Rulfo, García Marquez, Borges, Amado, Cortazar, e altri ancora. Alcuni hanno però considerato il “realismo magico” come proiezione naturale della letteratura post-coloniale in America Latina. 
Si parla della necessità di dare un senso, fondendole tra loro, a due realtà separate: quella del colonizzatore e quella del colonizzato (il romanzo di Carpentier “Los Pasos perdidos” è il migliore esempio di questo tentativo). 

Forse il sincretismo religioso Lucumì, che per ovvie ragioni di sopravvivenza culturale tentava di attribuire un significato all’unione delle due realtà religiose, costituisce il culto precursore del “realismo magico” proprio perché anticipa i tempi tracciando, quasi inconsciamente, un sentiero che ha fatto la fortuna della letteratura latinoamericana.

Carpentier, in una prefazione ad un suo libro di racconti, cita Hegel includendo una correlazione che il filosofo tracciò fra l’America e l’Europa, e che lascia intendere il trasporto e l’interesse per una terra che in quel periodo costituiva una speranza e una frontiera ideale: “L’America è imponente, fisicamente e moralmente, e costituisce anche il futuro, la potenza per definizione. L’Europa è la perfezione dell’assoluto, ma è anche una vecchia armeria, la ‘gabbia’ dove la gente s’annoia e dove nessuno potrà mai far vibrare le trombe dell’Epopea”.

Si potrebbe aggiungere che l’America Latina è il Continente della Immaginazione per eccellenza.


La scrittrice ed antropologa cubana Lydia Cabrera è stata una delle maggiori studiose della Santerìa afrocubana e di tutte le sue derivazioni. E’ morta negli Stati Uniti agli inizi degli anni novanta. Ha pubblicato tantissimi testi, studiando soprattutto la componente animista della religione afrocubana.      
E’ tenerissimo il suo modo di rivolgersi agli umili neri con cui lei, bianca, ricca ed erudita, ha convissuto per anni. Spesso li chiamava “mis negritos”. 



La scrittrice ha sempre detto che se non fossero esistiti i neri a Cuba, non avrebbe mai vissuto lì. 

Se si prova infatti ad immaginare l’isola senza la presenza dei discendenti degli schiavi neri africani, si avverte un tale senso di privazione da lasciar spazio unicamente allo sconforto. 

Cuba si avvicina poi all’Africa e alle sue atmosfere forse più di qualunque altra zona del continente. Grazie alla preminenza dell’anima nera africana, si potrebbe definire l'isola un enclave della grande “Mother Africa” sull’altra sponda dell’Atlantico.    

Il mantenimento delle tradizioni culturali e religiose ha trovato terreno fertile a Cuba perché persino la morfologia del territorio assomiglia vagamente a ciò che i primi schiavi lasciarono alle proprie spalle: l’isola è infatti, per la maggior parte della sua estensione, simile ad una grande savana.


Come nel caso di altre confessioni religiose, è stato grazie all’opera di pochi membri isolati della chiesa cattolica che gli elementi chiave della religione afrocubana sono stati trascritti e sono arrivati ai nostri giorni. La più estesa collezione di proverbi Yoruba fu tradotta e pubblicata, attorno alla fine dell’ottocento, proprio da un prete missionario. 

I proverbi sono la linfa vitale della religione Yoruba. Uno di questi recita: “I proverbi sono l’olio di palma con cui condire e mangiare le parole”. Il culto dei proverbi è oggi parte della vita giornaliera del cubano. Chi più ne conosce e ne fa sfoggio, più cresce nella considerazione di chi lo circonda. 


Le divinità, denominate Orishas, non sono immortali. Sono spiriti che offrono protezione e saggezza ai devoti. Ci si rivolge a loro in situazioni critiche. Santero è l’adepto che ha un rapporto privilegiato con gli Orishas. I santeros, per ottenere tale status, devono seguire un complesso rituale d’iniziazione. 



Gli aspiranti sono sottoposti ad un esame da parte di uno o più babalaos (i vertici officianti). Dopo la nomina di due padrini, il babalao, grazie ad alcune complicatissime tecniche divinatorie che prevedono l’impiego di conchiglie e altri monili, indicherà all’aspirante santero cosa fare della propria esistenza. Vengono dati dei consigli che devono costituirne le direttrici di vita.              

Il babalao, dopo aver consultato i padrini che conoscono bene l’aspirante santero, e averne messo a fuoco la psicologia, impartisce ammaestramenti d’ogni sorta per migliorarne l’esistenza. Si combinano strane ed inverosimili imposizioni come la proibizione di salire le scale a chiocciola o il non potersi alzare da tavola durante i pasti con consigli per mantenere un buon equilibro psicofisico. 

E’ appunto questo lo scopo principale della confessione: migliorare la qualità di vita degli adepti.

I padrini illustrano i punti deboli del soggetto al babalao che tenta di porre rimedio. Si tende a tenere nascosto all’aspirante santero questo canale di comunicazione fra le due parti, forse per accreditare maggiormente agli occhi di quest’ultimo le doti divinatorie del babalao.      

Agli asmatici, per esempio, viene imposto di non bagnarsi mai il capo fuori dalle mura di casa. La ragione di tale limitazione significa evitare ogni complicazione sanitaria. Agli ipertesi viene consigliato di ridurre il consumo di sigarette e caffè, e via di seguito.

Si prova, in breve, a mantenere un buon grado d’igiene fisica e mentale. Forse anche il buddismo segue, in parte, lo stesso percorso?

Nella Santerìa non c’è alcun vincolo assoluto, nessuna costrizione, non si promette e non si pretende niente, e soprattutto non si prevedono né espiazioni di colpe né punizioni. Dalla religione cattolica si sono mutuate solo le immagini sacre dei santi. C’è però un altro punto in comune: l’obbligo per i fedeli di entrambe le religioni di sottoporsi al sacramento del battesimo. 

Non è forse vero che i riti più impressionanti, in modo naturale, abbagliano e conquistano anche le altre religioni?


A questo punto inizia la purificazione e la vera e propria iniziazione del santero.

Per un’intera settimana il candidato dovrà stare rinchiuso in casa, attorniato dai padrini e dagli altri officianti. Il primo giorno si sacrificano una trentina di animali spargendone il sangue sul pavimento.



Il lavacro acquisisce differenti simbolismi a seconda degli animali che vengono uccisi. 

Si dice che nei secoli scorsi, in Africa, la purificazione fosse fatta adoperando anche sangue umano.



L’aspirante santero, durante l’arco dell’intera settimana, non muove un dito. Sta seduto su un trono arredato con i colori dell’Orisha che lo protegge, riceve continue abluzioni, gli viene cucinato il cibo ed ha l’obbligo di dormire su di una stuoia. Può ricevere brevi visite, ma solo ad orari prestabiliti.






Per un anno intero, il santero dovrà vestire di bianco per manifestare l'inizio di una nuova vita e rientrare a casa al calar del sole. In seguito, dovrà periodicamente alimentare il proprio Orisha con riti sacrificali che mantengono saldo il vincolo tra il religioso e la divinità protettrice.



La festa per omaggiare gli Orisha che conclude la settimana d’iniziazione è il “toque de tambor”.



E’ la cerimonia scandita dall’incessante e ossessivo ritmo dei Bata’, i tamburi sacri della Santerìa, in cui si sviluppa un macchinoso rituale che culmina con la “monta”, da parte di un Orisha, di uno dei partecipanti alla cerimonia. L’Orisha s’impossessa del corpo della persona prescelta e attraverso questa fornisce consigli e illumina i presenti.        
Lo stordimento generale provocato dal rullare crescente dei tamburi che riescono a far risuonare anche le corde più intime, una moderata dose di rum e, in alcuni casi, l'impiego di datura o secrezioni di rospo allucinogene, lentamente infiammano gli animi e procurano la trance.





Una volta abbracciata la religione, ogni piccolo problema quotidiano, ogni ostacolo che si frappone fra te ed un obiettivo che devi assolutamente centrare, ogni magagna sentimentale, per essere affrontata e risolta, richiederà l’intervento del culto e del cerimoniale. Grande fiorire di candele, di legature e slegature a seconda dei casi, e di promesse ai vari santi. 


Omaggio a Eleggua - Daymé Arocena

https://www.youtube.com/watch?v=fIqvuKnYWhk




Tutti hanno una storia da raccontare sulla Santerìa.

Anni fa, una delle santeras più in vista di un quartiere popolare di Santiago mi ha ricevuto grazie alle insistenze di un amico comune. La donna, che non avevo mai visto prima, mi ha fatto sedere su una sedia, e dopo aver portato a termine un lungo cerimoniale durante il quale mi ripuliva di tutti gli influssi negativi impiegando erbe d’ogni genere che mi strofinava addosso, ha iniziato a farmi domande personali a cui, per mia reticenza, cercavo di non rispondere. 

Le risposte le dava lei, e il più delle volte collimavano con la realtà. Non so chi le avesse comunicato che stavo a contatto con l’acqua di mare (sono un subacqueo e windsurfista incallito), né la ragione per cui m’interessa tanto conoscere il regime del vento.

La donna è poi entrata in trance e ha cambiato il tono e il suono della voce. Anche le parole che pronunciava non erano più in uno spagnolo intelligibile. I vocaboli, che all'inizio erano certamente di provenienza spagnola, acquisivano prefissi e suffissi d’origine indefinita e si mescolavano a suoni, vocalizzazioni, fonemi, lamenti, gemiti e altre parole d’origine africana che contribuivano a rendere l’atmosfera ancora più elettrica ed agitata. 



Il mutamento della voce mi sembrava coincidesse anche con un’alterazione dei tratti somatici della mia interlocutrice. Ho avuto l’impressione che le si fossero incavati gli occhi e allungato il collo. Sarà stato lo sforzo prodotto per variare il suono della propria voce o la mia autosuggestione. Fatto sta che ho iniziato a provare profonda angoscia.                                                

La mia parte razionale diceva di riderci su, che si trattava dell’euforia del viaggiatore che porta a fantasticare, corrompendo i reali contorni delle cose. Però l’inquietudine era lì presente, e si faceva sempre più palpabile.

La santera, in un’atmosfera ogni istante più pesante, ha poi parlato di mia nonna materna, dicendo che il suo spirito avrebbe continuato a proteggermi. Ha affermato che ero figlio della “Niña del Congo”. 

Mi ha anche detto che sarei ritornato lì a Santiago e molte altre cose, la maggior parte delle quali si sono puntualmente avverate.

Ma ciò che mi ha più impaurito è stata un’interruzione improvvisa della presunta trance. Mi ha guardato fisso negli occhi e mi ha chiesto dove fosse mio padre. Ho risposto che era in viaggio, in quel momento si trovava in Marocco con mia madre. Ha poi abbassato gli occhi arrestando di botto e senza spiegazioni la cerimonia. A quel punto non ho capito bene cosa stesse succedendo. Poi, al ritorno a casa, sono riuscito a mettere a fuoco tutto.

Facendo una ricostruzione cronologica dei fatti, e calcolando la differenza di fuso orario, mi sono accorto che nello stesso momento in cui la santera mi ha chiesto di mio padre, dall’altro lato dell’Atlantico il pover’uomo ebbe un attacco di polmonite che lo portò quasi al creatore. Per fortuna riuscì a rientrare rapidamente in Italia affittando un aereo privato da Marrakesh fino a casa.


I ritmi d’origine africana che hanno fatto la fortuna della musica cubana nel mondo e la voglia di dimenarsi e ballare sono, insieme alla religione sincretica Lucumì  o Regla de Ocha e le sue derivazioni, il cuore della cultura popolare. 

Le religioni sono però sempre state avversate dal governo.

Negli ultimi vent’anni si è deciso di sostenere la Santerìa afrocubana per varie ragioni. La più importante è forse la necessità di controbilanciare la penetrazione della religione cattolica che stava ricevendo troppo impulso, anche a seguito delle visite dei vari papi. 

Tutti sanno cosa possa succedere nel caso in cui i cattolici riescano ad organizzarsi in modo efficiente nel territorio.



L’altra ragione è culturale ed anche economica. La Santerìa afrocubana ha attirato l’interesse di molti studiosi europei e americani. Aumentano gli stranieri che decidono di abbracciare questa forma di culto religioso. E ciò significa più dollari che saranno spesi nell’isola. 

All’inizio della Rivoluzione Castro decise che la Santerìa, come tutte le religioni, dovesse essere bandita da Cuba. Si è mantenuta viva grazie alla capacità dei cubani di rinverdire le proprie radici. Lo stesso Castro ha loro insegnato che la memoria del passato è importantissima per proiettarsi verso il futuro.  

La Santerìa è forse sopravvissuta, colmo dei paradossi, grazie allo stesso insegnamento fornito dalla Rivoluzione. 

Ora c'e’ un museo della Santerìa al centro dell’Avana Vecchia. Le facoltà universitarie che si occupano d’etnologia e branche affini tengono corsi sulle religioni afrocubane, e molti studenti e professori europei e americani vengono ad assistervi, partecipando a programmi di ricerca.

Anche i bianchi cubani credono fermamente nella forza della Santerìa, e spesso sono oltranzisti almeno quanto i neri che, per storia e tradizione, ne sono i principali depositari. Prima del ’59, la Santerìa aveva un’enorme influenza sia sulla cultura popolare che su quella delle elìte. Ma l’auge che sta vivendo in questi ultimi vent’anni non ha precedenti.





A Cuba, da anni, corre voce che Fidel, durante una visita in Guinea, giusto per non lasciare nulla di intentato, sia diventato santero

Si dice anche che il suo Orisha protettore fosse Oddua, re dei re, forse il più forte e potente, tanto da essere sincretizzato con Gesù Cristo...