https://i.postimg.cc/4xwVWRZs/161126145740-fidel-castro-and-mandela.jpg Contrattempo all'Avana: 2018

domenica 2 dicembre 2018

SESSO E AMORI A CUBA, O DELLA GIOSTRA DELLA SENSUALITA'


Stare a Cuba era come vivere in una fabbrica che produce bellezza umana su una catena di montaggio.
Graham Greene

L’America Latina è la terra dove non esiste il peccato.
Anonimo 

Il primato della sensualità qui si avverte da bambino. Prende corpo nelle movenze delle donne locali. Senti i commenti fatti liberamente e senza remore da chi ti circonda sin da quando acquisisci la capacità di comprendere il linguaggio delle parole e dei gesti. Non è necessario alcun corso d’educazione sessuale da queste parti. E’ la vita stessa, permeata dalla carnalita' di matrice africana che ti insegna tutto, senza bisogno d’altro.

Viene da ridere pensando ai primi approcci adolescenziali con le ragazzine. Nessuno spiegava nulla.


Ci si lanciava in questo nuovo universo ad occhi chiusi. Il sesso era tabù assoluto e i genitori, assillati dai precetti cattolici, non prendevano mai l’iniziativa di spiegare. Il primo contatto era un piccolo trauma. 
A Cuba è tutto molto più fluido, nessuno si vergogna della forza della propria sessualità.



La prima volta che ho messo piede all’Avana mi sono sentito bello e fascinoso come mai mi era successo prima. Quasi tutte le donne mi guardavano con voluttà infinita. Sono corso allo specchio per vedere se durante il volo intercontinentale fosse, per caso, intervenuta qualche mutazione genetica. 
Niente di niente, ero sempre io. 
Chi arrivava nell'isola nei primi anni ’90 rischiava di sentirsi come Marlon Brando a 30 anni, praticamente onnipotente. 
Le ragioni che inducevano le donne locali a convincerti di essere il più affascinante degli uomini erano parecchie, ma soprattutto due: lo status di uomo libero con denari e l’inevitabile attrazione che si prova per ciò che è diverso ed esotico. 
Persino gli accessori, i profumi e gli indumenti possono, a volte, contribuire a far scoccare qualcosa di galeotto. Anche i modi europei riescono ad agitare le donne cubane. 
Ma per fugare ogni dubbio, va detto che la molla iniziale è quasi sempre il denaro.

All'inizio degli anni ‘90, durante le prime ondate turistiche, lo straniero veniva quasi paragonato a una divinità. Poi ci siamo fatti conoscere, soprattutto noi italiani. 
Oggi i cubani sanno distinguere tra un padovano e un palermitano, e sanno quali sono le attitudini e la psicologia spiccia degli abitanti di ogni singola regione italiana. Sanno che i romani fanno casino, che i napoletani fanno ancora più casino, e così via. 
I siciliani sono sempre identificati, come succede ovunque, con la mafia. Se mi chiedono da dove provengo dico Roma, e se vogliono sapere in che parte della città vivo, dico che sto vicino al Colosseo, altrimenti devi spiegare cos’è la mafia, come agisce, come e perché ha fatto saltare in aria Falcone e Borsellino, etc. 
Meglio parlare dei gladiatori e di Roma Antica. Ci sarà poi tempo per rivelare i propri natali.


Sesso ai Caraibi, tema incandescente per un europeo, e soprattutto per un italiano. Quando torno in Italia, chi mi chiede notizie dell’isola, dopo pochi giri di parole va a parare sempre sullo stesso argomento. 
E non mancano gli ammiccamenti, le frasi dette a metà, i sorrisini  a volte sfottenti, ma spesso di compiacimento. Non basterebbero interi giorni per spiegare come si vive il sesso a Cuba. 

C’è chi fa della questione la chiave di lettura dell'universo. Molti riescono a liberarsi da ogni imbarazzo e considerano il sesso un’attività umana come qualunque altra. Chi ci riesce o ha un livello intellettuale superiore o è guidato da puro istinto. In ogni caso si tratta di una minoranza di “eletti”.
Pedro Juan Gutierrez, indiscussa autorità nel settore, da molti definito il Bukowsky dell’Avana, dice che a Cuba fare sesso è come comporre una poesia.



Non è un caso che le cubane dicano sempre che i loro uomini sono i migliori al mondo perché ci mettono il cuore, e fanno dell’impegno nel soddisfare la partner la chiave del rapporto sessuale.
Sesso come poesia, e non è un imprevisto che a Cuba si vendano più libri di poesie che romanzi.

Federico Garcia Lorca passò un periodo della propria vita nell’isola, e per mostrare l’importanza che la poesia ha da queste parti ripeteva che in America Latina i poeti sono molto più importanti dei prìncipi.  



Gutierrez poi dice qualcosa che illumina e spiega in modo inequivocabile tutta la materia: sesso come dimostrazione e prova d’amore, ma anche vissuto come un semplice gesto d’affetto, come si farebbe una carezza, sobriamente e senza ostacoli. 




Questa è la differenza. Noi per esprimere affetto diamo una carezza, mentre loro vanno a letto così facilmente e semplicemente come noi scambiamo una carezza. E ne parlano come noi parleremmo di un buon piatto di lasagne. Uomini e donne, senza freni. 

La letteratura cubana di ogni genere è infarcita di riferimenti sessuali, anche la scultura, la pittura, il cinema e il teatro. 
La danza, poi, e' la glorificazione dell'erotismo, ben aldila' dell'arte.
Per non parlare della musica popolare i cui coloritissimi testi traboccano di doppi e tripli sensi che si riversano nell'argot locale, creando un processo di retroazione quasi incessante. 
In genere si canta il sesso e non l'amore. 
C'è poi la perpetua ostensione dei corpi discinti che il solleone tropicale impone. La loro vista risveglia anche i sensi più intorpiditi. Sesso e rum per scordare i tormenti dell'esistenza, e allontanare ogni incubo di impermanenza.

Dopo tanti anni di soggiorno si impara ad osservare le regole che amministrano il mondo dei rapporti tra cubani. 
E’ ovvio che io parta con un sostanzioso vantaggio nei loro confronti se voglio avvicinarmi ad una donna, e questo succede grazie al mio status. Ma il mio punto di vista è anche in parte quello di un residente che viene accettato quasi come un cubano d’adozione che ha accesso ai segreti che al turista non si possono confessare. 
In breve, il sesso nell'aria non lo respiro solo io, ma anche e soprattutto i cubani che sicuramente lo vivono più liberamente di me. Per loro, come già detto, l’intera questione non è zavorrata dalle sovrastrutture portate in dote dalla religione occidentale. 
La società cubana è laica e aconfessionale fino al midollo e la libertà che proviene dall'ascendenza africana è sempre manifesta.



Cuba è però terra di evidenti discordanze, e alla poesia del sesso come carezza si contrappone la violenza sotterranea e il ricatto della forza che deriva dal machismo imperante, che qui è presente ad ogni livello sociale ed è da sempre un baluardo della cultura popolare cubana. 



 La donna è quindi subalterna e spesso sottomessa perché, la maggior parte delle volte, i rapporti vengono regolati anche dalla forza fisica che fa irrimediabilmente pendere la bilancia a favore dell’uomo. 
Quindi, tanti libri di poesie d’amore venduti, romanticheria nelle relazioni, ma anche molto machismo

La donna ha però tante frecce al proprio arco. Può dar fuoco al compagno mentre questo dorme, per esempio. 
La pratica è talmente diffusa a Cuba che si rappresenta in chiave comica perfino nelle telenovelas e nei film. Nel mio quartiere, negli ultimi cinque anni, è già successo due volte. E' una zona residenziale con un buon livello di reddito. Non si tratta quindi di una pratica tipica dei quartieri popolari o marginali, ma è presente in tutti gli strati sociali. 

Mi hanno insegnato che se convivi con una donna cubana, e questa ti dice che “te va a dar candela”, è meglio far fagotto e sparire prima che sia notte, perché vuol dire che non è più disposta a sopportarti e rischi di bruciare nel sonno. 

Quanto detto può sembrar folle agli occhi di un occidentale “evoluto” ed etnocentrico. Ma vedendo realtà diverse si impara a non pensare che il proprio modo di vivere sia il migliore o il più avanzato. Spesso il nostro “modus vivendi” ha dei risvolti ben più ridicoli, grotteschi o devianti, e i truculenti epiloghi di alcuni nostri drammi familiari ne sono testimonianza. Chi può dimenticare il permanente femminicidio? In Italia viene uccisa una donna ogni 72 ore. 
Ma nonostante tutto ci reputiamo gli unici concessionari del verbo della civiltà. 

I cubani sono diversi, semplicemente distinti da noi, e forse chi non apprezza il relativismo culturale dovrebbe vivere nelle realtà che critica. 

Magari, per adattarsi in un mondo diverso da quello che ti ha partorito e svezzato, basta dimenticare quello che ti ha generato. 
Se cerchi di fare degli studi comparati delle due culture, provando sempre a scovarne i punti deboli, ti riduci uno straccio d’uomo. Alla fine tenderai sempre a privilegiare la tua origine. 
La pasta al sugo della mamma è sempre la migliore! 

Relativismo culturale militante quindi, così puoi ridere dei turisti che non saranno mai viaggiatori. 
Qui dicono di non andare mai in giro con la casa sulle spalle come le lumache, perché sarai sempre lento. 

In realtà, la necessità di fare paragoni è talmente pressante che risulta impossibile farne a meno.
Se si potesse tracciare un altro raffronto grossolano, e la tentazione nonostante i buoni propositi è irresistibile, si potrebbe dire che a Cuba ci si accoppia tantissimo, mentre in Italia lo si fa pochissimo e si sogna di farlo tantissimo. 
  
Con i modelli di donna occidentale imposti dalle pubblicità e affini, qualunque altra donna che incrociamo che non li rispetti pienamente ci sembra brutta. Rischiamo di desiderare modelle e attrici che non potremo mai avvicinare. 
Ma ci sono tante altre donne imperfette e bellissime, di cui a stento ci accorgiamo perché intimidite dal modello dominante, che tendono a non mostrarsi per far risaltare il proprio fascino. 


Prima mi stupivo e quasi ridevo di tutte le grassone locali che, con vestiti aderentissimi e secondo loro provocanti, circolano per strada. Poi ho capito che tutti hanno diritto di mostrarsi, di riaffermare la propria carica sessuale come meglio credono. 


                                               Las Voluminosas  - Carnaval de La Habana

  Esiste poi la Fenomenologia del Culo femminile cubano. 
Le terga europee tendono, in linea coi canoni formali dominanti e perfino nella loro assoluta bellezza, ad apparire disadorne, quasi austere. 
Sono figlie di mille restrizioni alimentari, consolidamenti da palestra e altri espedienti. Bisogna però riconoscere che possiedono un’autonoma energia estetica. 
Nei più perfezionati esempi, non hanno nulla da invidiare a nessun’altra tipologia. Ma, nonostante tutto, non potranno mai eguagliare la potenza e l'autorità delle natiche latine.
Il deretano medio cubano è infatti monumentale, come una cattedrale da ammirare in tutte le proprie sinuosità architettoniche. 
E nei suoi più insigni campioni, aldilà di ogni intento tassonomico, rappresenta un caso di impareggiabile completezza. 
Dispiega forza, risoluta decisione e ineguagliata armonia dei volumi. E la terra che da sempre lo ospita sembra esserne inesausta fornace.

Per il cubano meno attento ai canoni del bello assoluto, però, più carne equivale a più raffinato aspetto. A questo punto l’intera questione rende inevitabile lo sviluppo di due opposte linee di pensiero. La massa fine a se stessa antitetica all'esaltazione di forme e geometrie. 
Meglio non prendere parti.



D'altronde noi italiani siamo tutti figli del seno delle mamme. E continuiamo a cercarlo per tutta la vita. Qui a Cuba è il fondo schiena che comanda. Questo è un luogo in cui la famiglia non è opprimente e non impone regole, quasi non esiste, e spesso si è figli di un accidente. Anche qui la mamma è sacra, ma sull'altare ci sono solo i fianchi e i culi. 
Tutti sanno anche che il bacino e la cintura, nella terra del ballo perenne, si scuotono o si lasciano galleggiare in modo inimitabile. E sin da piccoli, la trance indotta dalla furia dei corpi fa sovrastare queste forme sulle altre parti anatomiche.




Da noi i ragazzini sono la categoria sociale più attiva sessualmente. A Cuba tutti sono attivi fino a che possono. 
E lo rimarcano con grande orgoglio. Anche gli anziani, i brutti, i grassi, i magri, tutti molto più che da noi. 

Sin dal 1516, un decreto reale promulgato dalla Corona Spagnola (a quel tempo regnava Carlo V) condannava le “eccessive pratiche sessuali” degli indigeni aggiungendo che questi erano “soliti lavarsi con troppa frequenza”, e concludeva affermando che tali attività “arrecavano indubbio danno alle popolazioni locali” - noi ricchi occidentali, che oggi facciamo dell’igiene personale un salvacondotto insostituibile per far parte della comunità sviluppata, eravamo sin d’allora surclassati da un manipolo di indiani selvatici che però, già a quel tempo, si lavavano più di noi. 




Forse l’ossessione che i cubani hanno oggi per l’igiene personale deriva dall'importanza che il re indio Hatuey e i suoi sudditi annettevano alla quotidiana ineluttabilità di una buona doccia con annessa frizione. 

Molto più recentemente, negli anni ‘90, il quotidiano cubano Juventud Rebelde, organo di partito, come del resto tutti i quotidiani pubblicati nell'isola, ha parlato di “eccessiva fornicazione” da parte dei giovani cubani. 




L’autore dell'articolo arrivò ad accusare i cosiddetti “contadini urbanizzati” di indulgere in “esibizioni collettive dei più crudi coiti, inscenando emulazioni notturne fra i due sessi”. In altre parole, con la solita mitigazione di termini, si stigmatizzavano le pratiche orgiastiche trasferite dalle province più ruspanti all'Avana grazie all'esodo verso la capitale causato dalla fame nera del primo “Periodo Especial”. 

Borges, con la sua capacità di mettere una pietra tombale su quasi tutte le questioni, diceva: “Non esistono atti osceni, solo il loro racconto è osceno”. 

Esistono quindi inoppugnabili prove storiche della inusitata e persino inurbana capacità dei cubani di accoppiarsi freneticamente e collettivamente. Non leggende ma fatti.

Reynaldo Arenas, romanziere cubano suicidatosi a quarant’anni per evitare di soffrire le pene dell’esilio e della fase terminale dell’AIDS, dichiarò che durante la propria esistenza aveva avuto più di 5000 partner - si potrebbe definire, come dice Cabrera Infante, una vita all’insegna del coito ininterrotto.



Prima dell’inizio del Periodo Especial, a Cuba esistevano le posadas, alberghi ad ore che le coppiette in amore frequentavano per ovvie ragioni di riservatezza. Erano, come tutto del resto, gestite dallo Stato per evitare scene di orge perenni alla luce del sole. 
La libertà dei costumi sessuali a Cuba, prima e dopo la rivoluzione, è sempre stata tutelata e protetta dallo stato (salvo le insopportabili esaltazioni tempestivamente censurate).

Comprare l’amore è una delle cose più eccitanti al mondo. 
Ennio Flaiano era convinto che la prostituzione ci interessa tanto perché è la nostra condizione naturale, e aggiungeva che l’assassinio è la nostra massima aspirazione.
Chi viene qui e vede tanta prostituzione ritorna a casa sdegnato, dicendo che ciò che ha visto è avvilente, che la povertà imperante riduce le donne in schiavitù e che le cubane sono tutte puttane. Potrebbe essere così, se le giudicassimo secondo i nostri principi. Altrimenti, anche quelle che ogni sera vanno a caccia del turista, possono perfino trasformarsi in angeli. 
Non saranno certo le hetaerae di Corinto o Atene. In ogni caso non sono le schiave del sesso delle periferie delle nostre città. 



La differenza fondamentale tra le prostitute del resto del mondo e le jineteras cubane risiede nella loro abilità di non perdere la propria dignità. E il vantaggio più grande è dato dal livello culturale, dalla capacità di conversazione e soprattutto dalla libertà personale di cui godono che gli consente di dire no quando vogliono, evitando appunto di perdere l’amor proprio. 

Sono donne che spesso hanno un lavoro, e se gli manca una manciata di dollari per comprarsi un indumento o per fare un regalo ai propri figli, si imbellettano e scendono per strada alla ricerca dello straniero o del cubano danaroso che risolverà loro il problema. 

Si tratta sempre di una realtà molto cruda, ma questa almeno consente di rifiutare il "cliente". Qui non esiste il racket organizzato e non esistono i magnaccia perché lo Stato stronca la criminalità organizzata senza scampo. 
In breve, il più delle volte, le donne vengono via con te se gli aggrada. 

 Jineteras è il soprannome che le ragazze cubane si sono viste appioppare agli inizi degli anni ’90 quando, alla ricerca di dollari, scendevano in strada in cerca di turisti – el Jinete è il cavallerizzo, e per estensione, con chiaro riferimento alla posizione da cavalcata da loro assunta durante il rapporto sessuale, il termine Jinetera
Secondo un'altra teoria la definizione ha una derivazione storica. 
Durante la guerra di liberazione dal giogo coloniale spagnolo durata fino al 1898, i Mambises cubani, in gran parte neri e mulatti, armati di solo machete si lanciavano a cavallo contro gli spagnoli.




Spesso caricavano con in mano soltanto dei fucili finti, intagliati nel fusto delle palme. Raggiunti i giovani coscritti spagnoli terrorizzati, inferociti li passavano al filo del machete dopo avergli rubato tutte le armi da fuoco. 
Le Jineteras, a chi piacciono le equazioni, si potrebbero quindi assimilare ai Mambises, e il filo del machete alla libertà dagli spagnoli, così come le arti amatorie alla libertà garantita dal potere del dollaro.

Il Comandante, interrogato sull'intera questione, anni fa disse che almeno le prostitute cubane hanno il più alto livello culturale al mondo.



Esiste poi un altro aspetto delle relazioni tra i due generi che vale la pena di commentare. Tutti i cubani hanno l’amante. E’ una regola fissa cui non si sfugge. Anzi, per essere più precisi, andrebbe detto che tutti i cubani hanno più di un’amante. 
Hanno quella fissa che si chiama querida e poi, nella loro affollata agenda sentimentale, trovano del tempo per frequentare altre tre o quattro donne che vedono di sfuggita, quasi clandestinamente, durante incontri che hanno come unico scopo il sesso. 

La querida invece è un’altra cosa. La presenti perfino alla madre che tollera tutto perché sei il maschio di casa. 
Il più delle volte, la moglie legittima è al corrente della relazione extraconiugale del marito e prova a cercarsi un uomo con cui fargli le corna. Ma al contrario dell’uomo, che può persino circolare con l’amante, la donna deve stare attenta a non fare scoprire la tresca. 

Va anche sottolineato che l’uomo, affetto dalla sindrome del supermacho, nonostante gli altri rapporti paralleli, tende a non trascurare la moglie, soprattutto dal punto di vista sessuale. 
Anzi dimostra un’attenzione costante ed invariata altrimenti, oltre a rischiare di venire scoperto, e forse morire bruciato, metterebbe a repentaglio la propria fama di amante perché le considerazioni sulle prestazioni sessuali del proprio marito, specialmente nei quartieri più popolari, sono oggetto di commento ed analisi comparate.

In questo folle tourbillon d’amorazzi chiunque si sentirebbe confuso e disorientato, ma loro sentono vivissima la necessità di riaffermare la propria potenza sessuale di fronte agli occhi del mondo. Più donne hai, più ganzo sei, e ancora più donne avrai. Pare funzioni così anche dalle nostre parti. 
Da noi non si dice sfigato?

Una delle tante ragioni per cui le donne danno fuoco nel sonno ai mariti è che l’uomo ha passato ogni limite di decenza, per esempio, ostentando l’amante ufficiale in modo spropositato, denigrando quindi la propria moglie in maniera per lei insopportabile. 

Esistono anche varianti forse più tragiche, oltre a quella “sentimentale”, nell'impiego del fuoco come arma invalidante o mortale. Oltre a dar fuoco ai mariti, la donna può darsi fuoco. E’ quasi sempre la donna che si dà fuoco. L’uomo non lo fa quasi mai perché gli darebbero del maricòn (oltre alle donne, di solito sono gli omosessuali che usano la benzina per farla finita). 
Si tratta di una scelta vigliacca secondo il sentire comune machista. A me sembra la scelta estrema fra le più coraggiose che esistano, se solo si pensa alle sofferenze che comporta (su suicidio a Cuba  https://contrattempo.blogspot.com/2018/07/ilsuicidio-cuba.html ).

L’uomo vero, ipoteticamente animato da un più sano cupio dissolvi, se ha voglia di farsi del male scende per strada, si ubriaca e cerca qualcuno da molestare che gli dia un paio di coltellate. Di solito non tarda molto a trovarlo. Al massimo, se trova della corda di buona fattura e una trave ancora solida, tenta l’auto-impiccagione. 
La donna e i maricones invece pare abbiano una sacra predilezione per le fiamme. Forse perché costituiscono un’arma pratica e diretta. Oppure sarà il culto per la teatralità del gesto, o ancora la facilità nel procurarsi un po’ di combustibile

Il termine maricòn in italiano potrebbe tradursi con finocchio, e per una curiosa coincidenza storica, in Europa, negli anni più bui dell’inquisizione, per evitare che il puzzo dei cadaveri bruciati appestasse oltremodo l’aria, si gettavano sulla pira dei semi di finocchio che mitigavano le esalazioni della carne umana. La maggior parte delle vittime era infatti composta da omosessuali, puttane ed ebrei, e da qui pare origini l’ingiurioso nome.

Sembra strano, ma anche nel Nuovo Mondo i tribunali dell’Inquisizione agirono seminando panico e morti. 




Tempo fa, girando per le stradine dell’Avana coloniale, in una bancarella ho trovato un libriccino intitolato “Demonios en la Habana”. 
Riportava che soltanto nei primi decenni dell’800 si abolirono i tribunali a Cuba. Ne esistevano, oltre a quello della capitale, a Trinidad, a Remedios e a Santiago de Cuba. 
L’elemento più curioso che il libro racconta è il livello di preoccupazione dei vertici cattolici europei per l’incalzante immoralità e lassismo dei costumi esistente a Cuba, tanto da indurre la Chiesa a prendere serie contromisure.

L’allora vescovo di Cuba, Juan del Castillo, stremato per il dilagare del malcostume, arrivò a rinunciare alla mitra decidendo di tornare in Spagna perché, come lui stesso confessava, “la gente di quell’isola è la più incorreggibile e mal disposta verso i precetti della Chiesa, più che in ogni altra zona del Nuovo Mondo”. 
Nel libro si parla anche di molti casi di parroci che durante la confessione chiedevano espressamente alle fedeli di intrattenere relazioni sessuali con loro.  

Nel 1516, su richiesta della Corona Spagnola, venne istituito all'Avana, da Papa Adriano VI, il primo tribunale della Santa Inquisizione. I tribunali saranno definitivamente aboliti solo il 25 maggio del 1813.



E appena qualche decennio più tardi, a riprova del fallimento totale dell’Inquisizione a Cuba, il sottosegretario USA al Dipartimento della Guerra, in un memorandum ufficiale dichiara: “La popolazione a Cuba è composta da bianchi, neri, asiatici e gente che è un miscuglio di tutte queste razze. Gli abitanti sono solitamente apatici ed indolenti, indifferenti alla religione, e la maggioranza di essi è al tempo stesso immorale, passionale e dalle forti inclinazioni sessuali (…!).

Nel 1659, il Governatore dell’Isola Don Juan de Salamanca dava notizia al Re di tumulti scoppiati tra frati e clerici al promulgarsi un editto che vietava loro di godere dei servizi di prostitute nere e mulatte.
Già all'inizio del XVIII secolo, solo all'Avana, si registra la presenza di più di trenta bordelli e circa 1200 prostitute, l’ottanta per cento delle quali erano di razza nera.

Nel 1731, l’allora vescovo della Cattedrale di Cuba Pedro Agustin Morell de Santa Cruz manifesta la propria preoccupazione per la enorme crescita di malattie veneree tra la popolazione delle grandi città cubane.
Nel 1860 le autorità ecclesiastiche denunciano l’indolenza degli spagnoli nell'arginare il fenomeno della prostituzione a Cuba. Le cifre vengono definite allarmanti: più di 500 bordelli e circa 15.000 prostitute attive.

Amir Valle teorizza che la storia della prostituzione a Cuba si può dividere in tre capitoli fondamentali. 
Il primo riguarda la presenza di prostitute spagnole, venute al traino dei primi colonizzatori, che dovettero ben presto fare i conti con le loro omologhe indios. 
Nel libro intitolato “Habana Babilonia” Valle racconta di scontri tra bande di prostitute locali e spagnole per accaparrarsi i favori dei primi coloni. Le spagnole erano in gran parte donne di mondo sfuggite ai rigori dell’Inquisizione spagnola che s’imbarcavano alla ventura verso il Nuovo Mondo. Molti documenti dell’epoca testimoniano anche della focosità e dell’appetito sessuale delle indigene che spesso spiazzava le europee.



Poi, dopo la decimazione degli indios, presero il sopravvento le prostitute di razza nera. 
Secondo fonti della chiesa cattolica cubana, che ha sempre tenuto sotto stretto controllo il fenomeno, nel periodo delle due guerre di liberazione che va dal 1879 al 1895, una donna su cinque della classe povera si dedicava abitualmente alla prostituzione. 

La terza tappa è costituita dall'entrata a Cuba dell’esercito degli Stati Uniti. La presenza costante e crescente di soldati, funzionari, investitori e turisti americani porta ad una crescita abnorme del fenomeno. Nel 1910 esistevano all'Avana più di tremila bordelli, e secondo i calcoli dei vari governi dell’epoca, in tutta l’isola operavano circa 80.000 prostitute tra una popolazione che non oltrepassava i sei milioni. 



A questo punto la prostituzione diventa, insieme al gioco d’azzardo, la fonte di reddito più cospicua della mafia nordamericana. Inizia allora l’epoca d’oro dell’Avana, grazie anche al proibizionismo vigente negli Stati Uniti che porta nuova linfa nelle casse dei mafiosi, in gran parte di origine italiana, che amministrano l’intero settore. 



Nel 1959, quando Castro arriva al potere, secondo dati certi, nel paese esistevano circa 20.000 bordelli con più di 150.000 prostitute, quasi tutte di origine nera o mulatta.


Eduardo Galeano ha scritto che nella cultura popolare latinoamericana la donna è un soggetto che s’indentifica con il vizio e l’infedeltà. Basta ascoltare un bolero o un tango
Nei testi dei primi la donna recita sempre la parte dell’ingrata e della traditrice, mentre nel secondo caso la donna viene invariabilmente rappresentata come una puttana. 



Il lievito che contribuisce a far fermentare una simile psicologia è, come sempre accade, l’inveterato machismo latino. Per quante torsioni intellettuali si possano attuare, riemerge sempre la stessa solfa.

A questo punto, tracciando l’ultimo paragone possibile, si può dire che nel mondo occidentale uomo e donna sono parte di una stessa realtà, vivono congiuntamente le emozioni, i drammi e i momenti di felicità, o almeno così ci si sforza di fare. Non esistono compartimentazioni o divisioni nette. 
Si cerca di considerare i problemi che affliggono l’uno o l’altra come problemi umani, senza differenziare. 

A Cuba, il più delle volte, l’uomo valuta l’appagamento delle voglie sessuali della propria compagna come dovere primario e prioritario. Per il resto, tende a considerare la donna come un essere che appartiene ad un altro universo. 
Le più naturali esigenze femminili, che vanno comunemente soddisfatte in un normale rapporto di coppia, vengono considerate dall'uomo come superflue. 
Spesso la donna si sente trascurata, e ogni rimostranza è considerata dal partner come reazione isterica tipica dell’altro genere, con sufficienza e anche in maniera intollerante. 
Capricci tipici della follia femminile che non hanno nessuna aderenza con la realtà maschile. Non vale la pena di preoccuparsene perché l’universo femminile è una entità di dimensioni minori e ininfluente. 

Nonostante tale atteggiamento, nella maggior parte dei casi, è la donna che prende le decisioni più importanti in un nucleo familiare.



Va detto che anche le donne cercano nuove galassie, e lì si associano per detestare i comportamenti isolazionisti che i machos cubani spesso adottano. Conversano dei propri uomini senza cavezze di sorta, sviscerando anche i più intimi particolari riguardanti perfino le prestazioni sessuali del partner. 
Tendono a confessarsi tutti i segreti possibili, forse nel tentativo di rinsaldare i confini del proprio mondo e renderli così impermeabili alle incursioni esterne. Lo fanno per crearsi uno spazio autonomo in una società oltremodo maschilista.
E quando due donne a Cuba parlano sottovoce con toni di complicità, puoi star sicuro che l’oggetto della conversazione sono i rispettivi mariti. Spesso le senti apostrofare il proprio partner con l’espressione “aquel hombre”, che tende a rimarcare la distanza. 

E’ la loro nemesi verso l’universo contrapposto, effetto dell'incomunicabilita' tra i generi, che sembra esista anche da noi.


Ballet Clasico - Lago de los Cisnes Voluminoso

domenica 16 settembre 2018

AVANA CHE CAMBIA




"Le nazioni più grandi si sono sempre comportate da gangster, e le piccole da prostitute"
Stanley Kubrick

“Gli Americani non capiscono che la nostra nazione si estende ben oltre Cuba per raggiungere tutta l'umanità.”
Fidel Castro



L'Avana è una grande capitale latinoamericana con più di tre milioni di abitanti. Una politica centralizzata che prevedeva di limitare l’espansione urbana nell’isola ed evitare lo spopolamento delle zone rurali è riuscita a preservarla.


Basta pensare a megalopoli come Città del Messico - l'area metropolitana conta 25 milioni di abitanti, 20% dell’intera popolazione, Lima (10 milioni) o Bogotà (8 milioni). 
Questo sistema ha evitato lo sventramento della zona storica per far posto a nuovi edifici, e ne ha mantenuto intatto l’incanto. 


La Revoluciòn però, oltre a tutelare, altera i contorni sociali della città. L’Avana aveva i suoi confini ben delineati. Quartieri per ricchi, quartieri per classi intermedie e per i poveri. 
I neri vivevano nei solar, equivalente delle case di ringhiera di Milano o di altre città europee, e nelle baracche di legno. I bianchi negli appartamenti e i più ricchi in case con giardino. 

Nei primi anni ’60, dopo il primo esodo verso la Florida, ci fu un rimescolamento che rese la città un caso unico. 
Le residenze dei bianchi vennero occupate da gente povera o assegnate loro dalla Rivoluzione. Si può immaginare una condizione di mobilità sociale che ha impatto enorme su costumi e abitudini di tutti gli abitanti. 

Ma l’Avana non può temere fulminei cambi di assetto di sorta. 
La città si è sempre adattata a tutte le situazioni più impensabili. Molti credono che la capacità degli habaneros di accomodarsi alle contingenze risalga al periodo di profondissima crisi economica seguito al ritiro dei sussidi sovietici dopo la caduta del Muro. 
Magari, nei primi anni ‘90, le arti degli habaneros si saranno affinate. Ma è  certo che la città nascosta, quella degli angiporti e dei nullatenenti, ha vissuto di piccoli traffici e contrabbando per quattro secoli. Di contatti con i marinai delle flotte di tutto il mondo. Qui non c’è oro, né risorse preziose, solo la abilità di negoziare e di vivere sempre all’erta.


La capitale, negli anni prima della Revoluciòn, era uno dei posti dove si concentrava, grazie ad ovvi privilegi, una delle élite più danarose del pianeta. 
Quando in Italia, nel primo dopoguerra, andavamo a dorso di mulo, all’Avana circolavano le auto con servosterzo. Il frigorifero, il condizionatore d’aria, la lavatrice e la lavastoviglie si vendevano in tutti i centri commerciali.


Gli anziani raccontano che la Buick, la Chevrolet e perfino la Cadillac lanciavano i nuovi modelli di auto prima a Cuba e poi a New York.
L’epopea dei mafiosi americani all’Avana è stata celebrata in mille salse.



Già negli anni ‘20, Al Capone aveva messo piede in città. La sua casa a Varadero è ancora lì sulla spiaggia, vicino quella di Dupont.







I mafiosi italo-americani sono stati per tanto tempo i veri padroni della economia dell’isola. Lucky Luciano, tramite il suo luogotenente Meyer Lansky, ha controllato per anni gran parte delle attività illegali dell’isola. Si dice anche che Sinatra avesse delle partecipazioni in alcuni alberghi e bordelli della città.
Le famiglie erano quattro: Barletta, Trafficante, Battisti e Luciano con Lansky.
Il gruppetto aveva diverse banche, l’esclusiva della General Motors per l’isola, un paio di giornali a tiratura nazionale, il secondo canale della Tv nazionale, tutti i casinò, quasi tutti i grandi alberghi, il controllo totale del racket della prostituzione, della cocaina e molto altro. E pagava al dittatore Batista una bella tangente per gestire i propri affari. 
L’intero Stato cubano era al servizio della mafia. E molte amministrazioni USA hanno pensato più volte di comprare l’isola per annetterla.


Si può facilmente immaginare cosa fosse l’Avana a quel tempo. Un paradiso per tutti i delinquenti americani. E forse il posto dove più si spendeva al mondo in beni di lusso. Tra latifondisti e malavitosi, il denaro speso a cuor leggero era un fiume in piena perenne. E la grande parte della popolazione stava a guardare cercando di sopravvivere.


Ho letto tempo fa in un giornale un’intervista con la responsabile di quell’epoca, per il mercato americano, della casa di moda Christian Dior. 
Raccontava che le mogli e le amanti degli Azucareros, dei latifondisti e dei gangster dell’Avana, al momento dell’uscita della collezione Primavera-Estate della casa, facevano a gara per accaparrarsene l’esclusiva planetaria, cosi da essere le sole a poterla sfoggiare durante le feste nei club della città. Tutto ciò costringeva Dior a ridisegnare l’intera linea da mettere in vendita.
Ci si può rappresentare quanto denaro fossero pronti a pagare i ricconi dell’epoca per assecondare le proprie compagne.


Poi, improvvisamente, con l’arrivo dei Barbudos, la città frena il suo impulso consumistico e si adegua alla realtà della tecnologia di importazione sovietica. 





L’Urss sostituisce gli Usa nelle forniture. E dato che i prodotti sovietici da esportazione destinati all’isola non erano certo avanguardia, la frenata si accompagna ad una regressione tecnologica solo parzialmente compensata dalle forniture militari.
La capitale è forse l’unica città al mondo che passa, nell’arco di pochi anni, da una condizione di culmine di consumi a uno stato di colonia o satellite sovietico, con tutte le relative conseguenze.

Se ne sentono di tutti i colori su questa città dal cuore grande come un bordello di mille stanze. Non si vive mai veramente all’Avana perché è lei che abita in te. Se parti, non la lasci, perché ti resta sempre dentro e non ti abbandona mai. E’ anche il posto, come dicono da queste parti, dove ti senti libero come un maiale - i suini qui sono visti come i più spensierati fra gli animali.

L’Avana, città delle "mille lenzuola bianche che sventolano sui balconi", agitate dalla brezza tropicale che le asciuga in pochi minuti. Città senza stagioni, ostaggio di un'unica incessante estate interrotta solo dai cicloni. Senza squisiti giochi di luce tipici delle nostre stagioni intermedie, ma con tramonti e nubi di una bellezza unica. 
Molti la idolatrano e altri la odiano. Tanti pensano che Cuba è l’Avana e il resto non conta. Forse perché le metropoli sono le menti e i cervelli delle nazioni.

Per quello che mi riguarda, la città l’ho vista cambiare a grande velocità negli ultimi due decenni.
 Nei primi anni 90 la capitale era per noi europei una prateria sconfinata di nuovi odori, sapori, suoni, immagini, visi, costumi. Fino ad allora si andava lì solo come “turisti politici”. Scortati dai dignitari del posto si poteva vedere solo quello che loro mostravano. 
Dal momento dell’apertura al turismo di massa la prateria si è potuta scorrazzare in libertà e con tanta eccitazione. Noi occidentali cerchiamo sempre nuove frontiere nel cinema, nella letteratura, nella musica, anche se spesso non conosciamo neanche i contorni delle nostre. Ma importa poco.


In quel momento storico, il nostro ammaliamento è stato senza riserve. E per gli abitanti del luogo è successo lo stesso. Chi di loro aveva mai visto un europeo, se non quei pochi privilegiati di regime che per ragioni diplomatiche o commerciali potevano viaggiare? 
Il nostro modo di camminare, gesticolare, vestire e pensare era una novità assoluta. 


E’ stato un periodo di fitto scambio di idee che ha creato una atmosfera portentosa. In ogni settore la contaminazione è avvenuta con grande gioia e soddisfazione reciproca. Dalle arti alle lettere, fino alle rispettive visioni del mondo. In America Latina si parla di “Transculturaciòn”. Di solito è la cultura più sviluppata che assorbe la meno sviluppata. Ma chi può concedere patenti o primati in questo caso?

In ogni sorte, quella cubana è ben salda e piantata sulle proprie radici e correva pochi rischi di assorbimento. Il governo la alimenta da quasi sessant’anni secondo modelli imposti. Ma almeno da il senso di “Memoria” ad un popolo. Anche se un unico senso non sta mai in piedi da solo.


La città però era viva. La notte correvamo da un posto all'altro per sentire musica, vedere spettacoli e partecipare a feste estemporanee. Ogni attimo perso sembrava sprecato. Tutti i viaggiatori stranieri si ricordano di quel periodo come di un incantesimo. Si dormiva di giorno e si viveva di notte nei mille locali e soprattutto per strada.

In Europa si diffondevano in modo morboso solo i racconti su donne che si offrivano per pochi soldi. Ma non era solo quello. E in ogni caso, anche quello era parte dell’incantesimo. 
Forse, a pensarci bene, le vere vittime di questo commercio erano i molti turisti europei preda di orde di cavallette che li spremevano come limoni, per poi lasciarli alla loro solitudine infinita.
La apertura aveva dato nuova speranza alla città. Sembrava che qualcosa potesse cambiare.


Magari, più in la nel tempo, sapremo se il prezzo assegnato dalle habaneras alla propria carne da dare in pasto ai visitatori era congruo.

Qualcuno al posto loro ha improvvisamente deciso che non lo era e tutto è cambiato. Non credo importasse a nessuno che migliaia di ragazze in città e in tutta l’isola si concedessero ai turisti. La morale sessuale qui non è mai stata materia di interesse. Il rischio era un altro: la contaminazione della cultura rivoluzionaria. E allora è iniziata la crociata contro il sesso e relativa corruzione dei principi cardine della Revoluciòn.

E’ ovvio che i vertici culturali cubani e stranieri, nonostante le chiusure decise dall’alto, abbiano continuato a dialogare incessantemente e senza intralci. Chi ha invece come confini il mondo della strada si è visto privare di questa valvola di sfogo. E la cultura popolare a Cuba è sempre stata il propellente di ogni movimento, anche il più aristocratico. 
E’ quindi mancata o è stata frenata una fonte di ispirazione esuberante. E la città ha perso brio.
Dopo la visita di Obama è sembrato che si dovesse procedere a passi spediti verso l’americanizzazione dell’isola. Con Trump il processo si è arenato. 

Purtroppo, in questi ultimi anni, l’influenza della subcultura nord americana di derivazione musicale e figlia della più stupida filmografia sta contaminando le nuove generazioni che crescono col mito del dio dollaro. 
E la tipica cultura dell’uomo vincente contrapposto al perdente prende sempre più piede.
Lo spirito di competizione, spinto al punto da sopraffare il prossimo, inclinazione poco coltivata da queste parti dove la solidarietà è ancora regina, lentamente si afferma e contribuisce a cambiare lo sfondo contro cui si muove il paese. 
La Revoluciòn era riuscita in parte a seppellire questi valori. Adesso che stanno riemergendo è sempre più difficile arginarli. 
E non è un caso che molti cubani riconoscano ancora l’europeo medio come più affine al loro modo di essere. 
Dopotutto, la Spagna è sempre Madrepatria e i russi sono stati qui per trent’anni.
Eppoi, i cubani, non sono interamente preda o vittime del tragico fatalismo latinoamericano. Basta pensare al vicino Messico. 
Sono un popolo ben istruito e con un livello culturale medio che non ha nulla da invidiare a nessun altro paese al mondo. Sempre ben informati su tutto quello che gli succede attorno. Ti può capitare di parlare per ore col benzinaio sotto casa della situazione in Palestina, della politica estera americana o del futuro della Cina. Perfino di letteratura russa o latinoamericana. 
Per fortuna, ci vorranno molte generazioni prima che il tipico spirito critico cubano venga diluito nel nulla della omogenizzazione culturale che minaccia tanti paesi in questo continente e nel resto del mondo. 
Non va mai dimenticato che il cubano ha studiato e si è formato per diventare “uomo nuovo”.