Molti studiosi, con immani sforzi, nel corso dei secoli hanno provato a trovare un anello di congiunzione fra la spiritualissima India e la più frivola Cuba.
Dopo anni di impegno siamo riusciti a risolvere la difficile equazione.
Ebbene, la chiave di tutto ci viene fornita dall’inviolabilità delle vacche.
Le ragioni che però spingono le due culture a decretarne la sacralità assoluta non sono sovrapponibili né in alcun modo intercambiabili. Ciò che ad ogni buon conto dà la misura dell’equazione è il risultato finale. Non importa il percorso, basta raggiungere lo scopo.
Infatti, sia in India che a Cuba, le vacche sono sacre.
A seconda del paese, variano le pene in cui possono incorrere gli “assassini” – in entrambe i casi sono proibiti gli abbattimenti programmati – ma mentre in India le ragioni che muovono la popolazione al rispetto dei ruminanti riguardano la stretta osservanza religiosa, la zoolatria e la dottrina induista, nella laica Cuba si è costretti a confrontarsi con motivazioni ben distanti dal fervore votivo che anima i quasi antipodici colleghi (verificare gli antipodi...).
E’ ovvio che gli indiani induisti meritino la nostra più grande ammirazione perché, nonostante la persistente mancanza di carne, non si azzardano, almeno secondo le cronache che ci giungono, neanche a pensare di lanciarsi all’assalto delle macilente vacche che affollano le loro città e campagne nel tentativo di placare i morsi della fame.
Non credo sia la desuetudine alla carne bovina che li sconsiglia dall’avventarvisi contro.
I cubani affamati, in passato, si sono mangiati tutti i gatti dell’Avana e appartengono alla razza umana, così come gli indiani.
Hanno forse gli indiani più controllo sulla secrezione dei propri succhi gastrici grazie alla loro indubbia capacità di arginare gli istinti?
O il richiamo della spiritualità è più forte d’ogni spasmo intestinale indotto da stomaci svuotati di cibo ma pieni di precetti religiosi che costituiscono efficace e riempitivo succedaneo della carne di manzo?
In ogni caso va a loro tutta la nostra incondizionata ammirazione per essere da sempre riusciti a resistere alle tentazioni della carne nei suoi molteplici tagli.
A onor del vero non si conosce l’entità delle pene detentive, se mai ve ne fossero, che gli indiani devono espiare nel caso di abbattimento di una vacca.
Anche i cubani devono però essere oggetto di apprezzamento scevro da ogni riserva se pur di mettere nel proprio stomaco una succosa lombata non vanno tanto per il sottile, e in assenza di condizionamenti religiosi sono disposti a passare fino a 15 anni in galera.
Questa è infatti la pena che un pubblico ministero più o meno clemente richiede per un imputato di abigeato e conseguente abbattimento di un capo di bestiame.
Istintivamente ci si chiede come mai a Cuba, se si fa fuori un essere umano, si paghi con meno anni di privazione della libertà rispetto ai casi di “assassinio” di una vacca.
Nella giurisprudenza locale, il reato di soppressione del ruminante e la relativa pena, si arriva a pensare non ben commisurata, diventano persino un metro di paragone.
Tant’è che quando si vuole sottolineare con una battuta l’idea che per un dato crimine la pena imposta è di proporzioni esagerate, si usa dire: “Non avrà per caso ammazzato una vacca?”
Perché quindi tanto accanimento contro chi uccide un semplice bovino?
L’inviolabilità delle vacche a Cuba si può storicamente rintracciare nei primi anni '90. In quel periodo la popolazione è stata sottoposta, ovviamente controvoglia, ad uno strettissimo regime che prevedeva la quasi totale assenza di proteine animali per intuibili ragioni di contingenza economica. Infatti, a causa della caduta del muro di Berlino e del precipitoso ritiro dei sussidi economici da parte dell’Unione Sovietica, la scarsità di alimenti si fece sempre più pressante.
A quel punto le vacche divennero il bersaglio preferito di molti cubani che cercavano in ogni maniera di integrare la loro parca dieta con proteine d’ogni provenienza.
Il risultato più immediato fu il loro pressoché totale sterminio. Tale situazione spinse le autorità ad adottare misure drastiche per arginare un fenomeno che aveva assunto proporzioni gigantesche.
I cubani, come essi stessi ammettono, non hanno limiti, e in alcune situazioni è necessario adottare rimedi per noi impensabili per evitare il peggio.
Vennero quindi varate norme straordinarie che prevedevano pene, nel caso di uccisione di bovini, che superavano quelle riservate ai comuni assassini. Inoltre, all’inizio degli anni novanta, era necessario assicurare un’adeguata scorta di carne di manzo ai turisti che cominciavano ad affollare le spiagge cubane.
La loro presenza sul suolo patrio era l’unica garanzia di sopravvivenza per la traballante economia della repubblica cubana.
Divenne quindi imperativo evitare la totale scomparsa dei preziosi animali che fornivano carne pregiata da servire nei ricchi buffet offerti agli altrettanto affamati turisti.
Oltre alla già celebrata equazione sulla venerabilità delle vacche, nei due paesi in questione esiste un altro punto di congiunzione fra quelle che popolano Cuba e il subcontinente indiano: la assoluta libertà di cui entrambe godono nei loro spostamenti sul territorio.
In gran parte dell'India le vacche sacre circolano indisturbate, si trovano all'incirca ovunque e in molti casi, nelle grandi città, arrivano a rendersi responsabili di paurosi ingorghi di traffico.
Pare anche che il 30% di tutte loro al mondo risieda proprio in India e che nonostante questo e la loro sacralità, il paese ne sia il maggiore esportatore sulla terra.
Misteri bovini.
A Cuba, invece, ad un mio amico è capitato di rischiare di morire vittima di un incidente aereo per colpa di una mandria di vacche che, avendo sconfinato dagli abituali territori di pascolo, si sono avventurate sulla pista di un aeroporto dell’interno dell’isola, costringendo il pilota a effettuare un pericolosissimo “pull out” (rapida manovra in fase d’atterraggio per riguadagnare altitudine) per evitare una carneficina.
Non oso immaginare quanti secoli di galera avrebbe chiesto la pubblica accusa per un simile caso di genocidio.
Io avrei certamente rischiato una condanna più mite se alcuni anni fa avessi fatto fuori un'unica mucca che procedeva contromano in autostrada e mi si è parata di fronte mentre correvo a 120 km. orari. Fortunatamente sono riuscito ad evitarla.
Spero che in casi simili si applichino tutte le attenuanti possibili.
In ogni modo, in assenza di certezze, è sempre meglio evitare brutte sorprese mantenendosi alla larga dai famigerati cornuti.
Anche i cubani devono però essere oggetto di apprezzamento scevro da ogni riserva se pur di mettere nel proprio stomaco una succosa lombata non vanno tanto per il sottile, e in assenza di condizionamenti religiosi sono disposti a passare fino a 15 anni in galera.
Questa è infatti la pena che un pubblico ministero più o meno clemente richiede per un imputato di abigeato e conseguente abbattimento di un capo di bestiame.
Istintivamente ci si chiede come mai a Cuba, se si fa fuori un essere umano, si paghi con meno anni di privazione della libertà rispetto ai casi di “assassinio” di una vacca.
Nella giurisprudenza locale, il reato di soppressione del ruminante e la relativa pena, si arriva a pensare non ben commisurata, diventano persino un metro di paragone.
Tant’è che quando si vuole sottolineare con una battuta l’idea che per un dato crimine la pena imposta è di proporzioni esagerate, si usa dire: “Non avrà per caso ammazzato una vacca?”
Perché quindi tanto accanimento contro chi uccide un semplice bovino?
L’inviolabilità delle vacche a Cuba si può storicamente rintracciare nei primi anni '90. In quel periodo la popolazione è stata sottoposta, ovviamente controvoglia, ad uno strettissimo regime che prevedeva la quasi totale assenza di proteine animali per intuibili ragioni di contingenza economica. Infatti, a causa della caduta del muro di Berlino e del precipitoso ritiro dei sussidi economici da parte dell’Unione Sovietica, la scarsità di alimenti si fece sempre più pressante.
A quel punto le vacche divennero il bersaglio preferito di molti cubani che cercavano in ogni maniera di integrare la loro parca dieta con proteine d’ogni provenienza.
Il risultato più immediato fu il loro pressoché totale sterminio. Tale situazione spinse le autorità ad adottare misure drastiche per arginare un fenomeno che aveva assunto proporzioni gigantesche.
I cubani, come essi stessi ammettono, non hanno limiti, e in alcune situazioni è necessario adottare rimedi per noi impensabili per evitare il peggio.
Vennero quindi varate norme straordinarie che prevedevano pene, nel caso di uccisione di bovini, che superavano quelle riservate ai comuni assassini. Inoltre, all’inizio degli anni novanta, era necessario assicurare un’adeguata scorta di carne di manzo ai turisti che cominciavano ad affollare le spiagge cubane.
La loro presenza sul suolo patrio era l’unica garanzia di sopravvivenza per la traballante economia della repubblica cubana.
Divenne quindi imperativo evitare la totale scomparsa dei preziosi animali che fornivano carne pregiata da servire nei ricchi buffet offerti agli altrettanto affamati turisti.
Oltre alla già celebrata equazione sulla venerabilità delle vacche, nei due paesi in questione esiste un altro punto di congiunzione fra quelle che popolano Cuba e il subcontinente indiano: la assoluta libertà di cui entrambe godono nei loro spostamenti sul territorio.
In gran parte dell'India le vacche sacre circolano indisturbate, si trovano all'incirca ovunque e in molti casi, nelle grandi città, arrivano a rendersi responsabili di paurosi ingorghi di traffico.
Pare anche che il 30% di tutte loro al mondo risieda proprio in India e che nonostante questo e la loro sacralità, il paese ne sia il maggiore esportatore sulla terra.
Misteri bovini.
A Cuba, invece, ad un mio amico è capitato di rischiare di morire vittima di un incidente aereo per colpa di una mandria di vacche che, avendo sconfinato dagli abituali territori di pascolo, si sono avventurate sulla pista di un aeroporto dell’interno dell’isola, costringendo il pilota a effettuare un pericolosissimo “pull out” (rapida manovra in fase d’atterraggio per riguadagnare altitudine) per evitare una carneficina.
Non oso immaginare quanti secoli di galera avrebbe chiesto la pubblica accusa per un simile caso di genocidio.
Io avrei certamente rischiato una condanna più mite se alcuni anni fa avessi fatto fuori un'unica mucca che procedeva contromano in autostrada e mi si è parata di fronte mentre correvo a 120 km. orari. Fortunatamente sono riuscito ad evitarla.
Spero che in casi simili si applichino tutte le attenuanti possibili.
In ogni modo, in assenza di certezze, è sempre meglio evitare brutte sorprese mantenendosi alla larga dai famigerati cornuti.